di Costantino Coros
Uno degli effetti collaterali della crisi, è la crescita delle truffe a danno dei lavoratori immigrati. Frodi messe a punto da sedicenti agenzie di collocamento che vivono nell’ombra, nuotano in un mercato del lavoro parallelo e speculano sul bisogno di lavorare degli stranieri promettendo tanto e mantenendo molto poco. Per questi “collocatori” senza scrupoli, la difficoltà crisi economica è una manna dal cielo. Gestite anche da italiani, fanno sempre più soldi e sono, paradossalmente, aiutate da una legislazione che, non consentendo agli stranieri di arrivare legalmente per cercare lavoro, permette loro di proliferare.
Finte agenzie, soldi veri
«La difficoltà a trovare un impiego e il rischio di cadere nel lavoro nero favorisce la recrudescenza delle agenzie illegali», spiega Emanuele Galossi ricercatore presso l’Osservatorio immigrazione dell’Ires. Un mercato illegale e ovviamente sommerso, su cui è perfino difficile raccogliere testimonianze: i migranti temono ritorsioni e perciò non ne parlano volentieri. Più espliciti gli osservatori italiani. Un parroco di Velletri (in provincia di Roma) conferma. Rispetto a qualche mese fa il numero dei migranti che si rivolgono a lui per avere aiuto è cresciuto: perso il lavoro, sono caduti nella trappola di queste fantomatiche agenzie. Che fanno affari anche in tempo di crisi. Per il buon andamento del mercato, infatti, i lavoratori stranieri continuano a essere necessari. Lo ribadisce l’ultimo rapporto Caritas-migrantes: alla loro presenza è dovuta per i due terzi la crescita dell’occupazione in Italia (+ 234mila nuovi lavoratori nel 2007).
È proprio su questa necessità che fanno leva le pseudo-agenzie. «C’è ne sono parecchie, si danno molto da fare e chiedono dei compensi abbastanza elevati», spiega Monica Pace del Centro orientamento al lavoro della Caritas della capitale: «spesso i migranti raccontano di essere giunti nel nostro paese perché delle agenzie, attive nei loro stati, dicevano che gli avevano trovato contatti con famiglie italiane. Una volta arrivati, all’appuntamento non si presentava nessuno, il telefono squillava a vuoto e l’indirizzo era falso». La Caritas di Roma ha provato a fare una stima per quantificare il fenomeno. Ogni mese riceve circa 80 persone per il colloquio di orientamento al lavoro ed è in questa fase che alcuni migranti si aprono di più e raccontano le loro brutte esperienze. La Caritas ha notato che si tratta di circa il 30% del totale delle persone ascoltate ogni mese. Perciò in un anno sono pressappoco 300 coloro i quali dicono di esser caduti nella trappola. Questo rapido calcolo riguarda solo la Capitale ma non è difficile capire che in tutta Italia il fenomeno è tutt’altro che marginale. Purtroppo però, fanno notare alla Caritas, la nascita e la proliferazione di queste organizzazioni è favorita anche da una difficoltà da parte del sistema dei servizi per l’impiego pubblici e privati a collocare i lavoratori migranti.
Un mercato illegale
Come funzionino queste strutture illegali, lo spiega la Caritas di Roma, che tramite i suoi sportelli ha raccolto molte testimonianze. Ci sono quelle che fanno intermediazione fra famiglie e lavoratrici (e pretendono in cambio una somma di denaro non piccola: la totalità o la metà del primo stipendio). Altre invece richiedono una quota d’iscrizione più contenuta – attorno ai 50 euro – promettendo in cambio contatti per trovare un impiego. In alcuni casi questi ultimi hanno anche un esito positivo (e allora c’è da versare una seconda tranche…). In altri invece, a seguito della corresponsione di altro denaro, viene dato un numero di telefono, un indirizzo di un possibile datore di lavoro ma il contatto è fantasma. «Una volta mi è capitata una signora» – ricorda Pace – «che mi ha fatto vedere una ricevuta: aveva pagato 200 euro, ma non era stata mai messa in contatto con nessun datore di lavoro».
L’apparenza inganna
Queste agenzie sembrano in regola. Uffici molto ben organizzati. Compilazione di curricula. Organizzazione di colloqui. Modulistica del tutto credibile. Nulla fa pensare che sotto ci sia l’inganno. «Una volta abbiamo fatto anche noi una telefonata a queste agenzie» – dice Lorenzo Chialastri, responsabile centro ascolto stranieri della Caritas – «scoprendo che in genere sono costituite da italiani e stranieri. Generalmente è una donna che apre i contatti. C’è anche qualcuno che si fa passare per datore di lavoro». Insomma, una vera e propria sceneggiata: conduce un finto colloquio e poi dice al malcapitato che non è adatto al quel lavoro. Così il gioco è fatto.
Combattere lo sfruttamento
Sono difficili da individuare perché cambiano spesso posto per non essere intercettati e non mettere a repentaglio i lauti guadagni. «Il calcolo è rapido» – fa notare Chialastri – «se ad una di queste agenzie si presentano 200 persone al mese, a 50 euro per ciascuna, sono 10mila euro. È un affare molto lucroso». Insomma, combattere questa forma di sfruttamento non è semplice. Specialmente con l’attuale legislazione. Una strada che Antonio Russo responsabile nazionale immigrazione delle Acli, definisce «interessante» l’ha disegnata la proposta di legge presentata in gennaio dall’onorevole Luigi Bobba: «per rendere trasparente questo mercato, basterebbe prevede l’introduzione di un permesso di soggiorno per motivi d’inserimento e ricerca di lavoro. Così si eviterebbero gli episodi di sfruttamento».
Paghi per lavorare e ti trattano male
Sono una coppia di coniugi romeni sulla cinquantina arrivati in Italia cinque anni fa, vivono e lavorano in provincia di Roma. «Ci ha chiamato un romeno che ci aveva trovato un lavoro». Raccontano. «Nella nostra comunità ci sono connazionali che si adoperano, dietro compenso, a trovare lavoro. La stessa cosa accade anche nelle altre etnie». La loro esperienza ha avuto luci e ombre: hanno incontrato persone che li hanno aiutati e altri che si sono comportate esattamente all’opposto. «Alcuni italiani non ci hanno pagato, ci hanno trattato male e in alcuni casi, lavorando come badante» – spiega lei – «non mi hanno dato da mangiare o me ne hanno offerto pochissimo. Mio marito lavora nell’edilizia, presso piccole imprese, li è più difficile e non ti trattano molto bene, non ci sono tutele». Il cibo è considerato un costo in più, come la tredicesima, i giorni festivi e la malattia, tutte voci che non ci vengono pagate. «Quando i datori di lavoro vanno in ferie per le vacanze estive» – prosegue la signora – «molto spesso non ti pagano e per andare avanti mi devo arrangiare con piccoli lavori che trovo con il passa parola. Qui in città c’è una signora che trova lavoro a chi non lo ha, ma chiede in cambio del denaro, anche 200 euro, ma io preferisco evitare».
Appena capito l’imbroglio, sono scappata!
«Sono laureata in lingue e letteratura albanese, dopo 23 anni di lavoro come insegnante, sono venuta in Italia, per aiutare le mie figlie a completare i loro studi». Racconta una cinquantenne albanese che preferisce rimanere anonima ma è disposta a parlare della sua esperienza. «Appena sono arrivata avevo già il posto di badante che le mie cognate mi avevano lasciato. Così sono stata per due anni in Umbria. Alla morte della persona che accudivo mi sono trasferita a Roma ed essendo una grande città ho incontrato parecchie difficoltà nel trovare un nuovo impiego. Grazie alle parrocchie ho potuto lavorare per un breve periodo poi di nuovo mi sono messa alla ricerca e nel mio girare ho avuto un brutto incontro con una specie di agenzia. C’è una proliferazione di queste agenzie che sfruttano le persone. Mentre ero in fila, in attesa che arrivasse il mio turno, ho sentito dalle altre signore come funzionava: appena ti trovano un lavoro bisogna versare 300 euro, dopo di che il datore di lavoro consegna lo stipendio all’agenzia la quale ne trattiene una parte, per esempio su 900 euro ne prende 150». Appena sentiti questi racconti, la signora è scappata via, per fortuna, con il passa parola le cose si sono messe a posto.
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