Sviluppo sostenibile
Comunità energetiche, Roma caput Cers
La Capitale è stata la prima ad approvare un regolamento per le comunità energetiche rinnovabili e solidali. Riccardo Troisi, presidente Coordinamento Cers Roma e Lazio: «È il primo comune che, attraverso una normativa sulle sue superfici pubbliche, ha deciso di concedere delle aree in comodato gratuito alle Cers. Che, in cambio, devono realizzare progetti, devolvere gli incentivi e la vendita di energia a progettualità sociali per quel territorio»

Una cers «autoproduce energia rinnovabile, la condivide tra i soci e reinveste i ricavi in progetti di welfare comunitario sul territorio e rigenerazione urbana. Gli incentivi e i ricavi dalla vendita dell’energia in eccesso sono reinvestiti in progetti locali di impatto sociale, decisi dai soci sulla base dei bisogni della comunità», spiega Riccardo Troisi, presidente del Coordinamento Cers Roma e Lazio e ricercatore dell’Università di Tor Vergata. «Il regolamento del Comune di Roma è una grande novità».
Nel regolamento sono coinvolti anche gli ets
Con la delibera n. 174/2024, l’assemblea capitolina ha approvato lo scorso dicembre il regolamento “Per la messa a disposizione di aree e impianti fotovoltaici comunali a favore delle Comunità energetiche rinnovabili Solidali (Cers)”. La normativa della Capitale coinvolge, per la prima volta in Italia, gli enti del Terzo settore per valorizzare i propri tetti realizzando comunità energetiche rinnovabili e solidali e proporre la realizzazione ex novo o la gestione di impianti solari sugli edifici di proprietà comunali.
«Roma è il primo comune che, attraverso un regolamento sulle sue superfici pubbliche (i tetti delle scuole, dei mercati, dei luoghi amministrativi), decide di concedere quelle aree in comodato gratuito a comunità energetiche rinnovabili e solidali. Queste ultime, in cambio, devono fare progetti e devolvere gli incentivi e la vendita di energia a progettualità sociali per quel territorio», continua Troisi.
Nelle Cers, «le “Cer con la s”, tutti i proventi che vengono generati dalla condivisione dell’energia e dalla vendita vengono destinati a progettualità sociali sul territorio, non si può puntare anche alla riduzione delle bollette delle famiglie, come accade invece nelle Cer tradizionali».
Dal sostegno alle comunità locali alle borse lavoro per migranti
Nella giurisprudenza «non sono mai state normate le Cers. La normativa prevede le Cer, che possono avere anche delle finalità sociali e, quindi, lavorare sui temi della povertà energetica, della riconversione ecologica ed altri». Il Coordinamento Cers Roma e Lazio è un’associazione di secondo livello, che mette insieme le competenze e le storie delle diverse comunità energetiche che si sono costituite o si stanno costituendo nel territorio romano e laziale, è attualmente composto da 17 Cers (altre stanno per aderire).

Il Coordinamento ha favorito, insieme al comune di Roma, questo regolamento «nel quale si afferma che le comunità energetiche rinnovabili e solidali destinano i propri benefici ad attività sociali ed ecologiche da concordare insieme ai municipi, che ne beneficiano anche dal punto di vista economico. Le progettualità a cui vengono destinati i fondi vengono individuate tra povertà energetica, sostegno alle comunità locali, borse di lavoro per migranti, piccoli progetti del territorio.
La mappatura delle comunità energetiche rinnovabili
RiCER è la prima piattaforma italiana sulle comunità energetiche rinnovabili, che ha l’obiettivo di creare un database open source dove mappare, connettere e valorizzare i diversi modelli di Cer che si stanno avviando sul territorio nazionale. Alla guida del progetto, la rete nazionale NeXt – Nuova Economia per Tutti e l’Università Tor Vergata, in sinergia con più di 50 realtà della società civile. «Oggi sono mappate circa 150 comunità energetiche rinnovabili, di queste il 40%, circa 60, si definiscono Cers in Italia, ovvero si danno obiettivi sociali nel loro statuto o regolamento», continua Troisi.

Dalla ricerca emerge che la fonte energetica prevalente è quella solare (99%). In Italia gli impianti installati e progettati sono in totale 371 per una potenza complessiva di 78,86 MWp (“megawatt di picco”, è la potenza nominale di un impianto fotovoltaico). Molte delle realtà ancora non hanno realizzato gli impianti per la mancanza di coperture dei costi necessari.
Le progettualità a cui vengono destinati i fondi vengono individuate tra povertà energetica, sostegno alle comunità locali, borse di lavoro per migranti, piccoli progetti del territorio
«Dall’indagine risulta che, nelle Cer del nostro Paese, sono oltre 3.800 i cittadini coinvolti, 5mila le utenze collegate. Le comunità energetiche rinnovabili vedono la partecipazione di 120 enti del Terzo settore, 426 imprese , 176 istituzioni locali e 20 istituti religiosi».
L’esempio virtuoso di Cers Esquilino
«Abbiamo costituito, ufficialmente da quasi tre mesi, Cers Esquilino. Il progetto nasce grazie all’intuizione del Polo Civico Esquilino, una realtà sociale con più di 35 organizzazioni che ha deciso di lavorare sul tema delle energie rinnovabili», dice Riccardo Troisi, che è anche presidente Cers Esquilino.
Durante un iter durato un anno e mezzo «abbiamo trovato persone interessate a investire nel progetto. Abbiamo individuato con l’amministrazione l’area in cui installare gli impianti fotovoltaici nello spazio dell’Assessorato alle Politiche sociali a via Merulana e in quello del I Municipio, sopra il centro anziani Esquilino. Si stanno aggiungendo altre aree di privati nel territorio, che stanno proponendo la loro partecipazione».
La carica dei 100 per 50 Kilowatt
Nella Cers Esquilino si prevede il coinvolgimento di un centinaio di persone, imprese o realtà sociali del territorio e la produzione energetica di 50 kilowatt. A chi vuole diventare membro della comunità, è richiesto un piccolo contributo iniziale che varia in base al ruolo scelto (produttore, prosumer, consumatore) o e ai propri bisogni, che viene recuperato con i ricavi generati dalla comunità energetica rinnovabile e solidale.

Cittadini, imprese, enti del Terzo settore, pubbliche amministrazioni e istituzioni ecclesiastiche possono partecipare, basta che abbiano un punto di connessione alla rete, un Pod, nelle zone servite dalla cabina primaria della zona interessata. «Stimiamo di raccogliere circa 60mila euro da realtà del territorio o da fondazioni che decidono di sostenerci. Già oltre 40 persone sono disponibili a diventare soci. Inoltre, i frati della Pontificia Università Antonianum si sono impegnati a partecipare con un contributo».
Successivamente, si procederà all’installazione degli impianti e all’avvio della produzione, «che genererà ogni anno un avanzo di circa 10mila euro, che destineremo a progettualità individuate sul territorio. Ad esempio», conclude Troisi, «un progetto antiviolenza all’Esquilino, che attualmente non c’è».
Foto di apertura di Hynek Janáč su Unsplash e, nell’articolo, dell’intervistato
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