Welfare
Coop B in Piemonte,numeri da boomper crescita e investimenti
L'analisi La realtà dell'inserimento lavorativo ai raggi X
di Redazione
Si può misurare lo stato di salute della cooperazione d’inserimento lavorativo guardando solo i risultati economici? Parte da questo interrogativo l’ultima ricerca sulle performance e gli indicatori di tipo economico delle cooperative di tipo B in Piemonte. L’obiettivo economico delle cooperative d’inserimento lavorativo, osservano gli autori dello studio, in teoria potrebbe dirsi realizzato anche in assenza di utili. Il fine esclusivo consiste infatti nel favorire, grazie alla partecipazione e alla condivisione dei valori fondativi, l’inserimento lavorativo dei soggetti svantaggiati. È vero anche, però, che si tratta di imprese e che proprio dai risultati economici raggiunti discende la possibilità pratica di conseguire i fini sociali.
La ricerca, condotta dalla Direzione politiche sociali e per la famiglia della Regione, cade nel trentennale dell’istituzione in Piemonte delle cooperative “integrate”. Era il 1978 infatti quando nasceva la prima cooperativa sociale che tra i soci annoverava soggetti in “condizione di svantaggio sociale”. Nella prima parte si ricostruisce la fisionomia del settore in Piemonte (vedi box), la seconda analizza l’andamento congiunturale, gli orientamenti strategici e le priorità in agenda. Il primo dato che balza agli occhi è il raddoppio del fatturato negli anni 2002-2006. Ben 137 milioni di euro. «Quasi la metà di questo fatturato è stato realizzato dal 6% delle imprese che occupano più di 100 addetti: un dato che conferma il peso economico delle cooperative B più strutturate nel panorama regionale», dichiara l’assessore al Welfare e lavoro, Teresa Angela Migliasso.
Significativo anche il valore delle immobilizzazioni (materiali, immateriali e finanziarie), ossia gli impieghi di capitale a lungo termine: nel 2007 è stato pari a quasi 36 milioni di euro contro i 10 di cinque anni prima. Una crescita che si spiega con la scelta strategica in direzione degli investimenti e con l’ampliamento di nuovi mercati come, ad esempio, il settore ambientale (raccolta differenziata) che richiede impieghi più elevati. Dal raffronto tra il valore delle immobilizzazioni e del capitale sociale emerge, tuttavia, un basso grado di copertura degli investimenti con capitali propri. Il rischio è che molte cooperative finanzino gli impieghi di durata pluriennale con l’indebitamento a breve termine, più instabile e oneroso.
Meno positivo, nel complesso, l’indicatore sulla redditività. La cooperazione piemontese vive infatti, sottolinea la ricerca, un periodo di espansione che, sul piano dei volumi produttivi, coinvolge molti operatori ma che ridistribuisce i benefici solo a una parte. Le performance, misurate con indicatori sintetici relativi al fatturato, agli addetti e alla redditività, non mostrano una significativa relazione con le dimensioni aziendali (eccetto che per i big player con più di 100 addetti) e con l’adesione a consorzi. Risultano influenzate positivamente invece dagli incrementi realizzati sul mercato privato.
La crescita dei servizi erogati alle imprese non mette tuttavia al sicuro le cooperative B. Sono preoccupate infatti sia per la concorrenza dei soggetti profit che per le regole in materia di affidamenti previste dalla normativa comunitaria e dal Codice degli appalti. Un tema che non lascia affatto indifferente la Regione. «Occorre puntare», spiega Migliasso, «sull’introduzione delle cosiddette clausole sociali negli appalti sopra soglia comunitaria per favorire la stabilizzazione del mercato acquisito e sulla creazione di un sistema più articolato di offerta pubblica con la promozione su tutto il territorio regionale degli affidamenti sottosoglia, più accessibili alle cooperative più piccole».
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