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Così il Sudafricabmi ha conquistato

Lo scrittore francese si è fatto guidare da Helen Lieberman, bla madre Teresa di Johannesburg, a riscoprire la storia.bRacconta: «Qui c'è una strada per il futuro»

di Redazione

L a storia diventa quasi sempre epopea, sotto la penna dell’autore de La città della gioia . Succede anche nell’ultimo libro di Dominique Lapierre – scrittore francese, classe 1931 – Un arcobaleno nella notte , che racconta una vicenda solo apparentemente nota del nostro tempo, attraverso la vita di una “madre Teresa sudafricana”. «Apartheid. La gente conosce questo nome e quello di Nelson Mandela, ma non sa come cominciò questo regime terribile, razzista e segregazionista e come alla fine fu vinto. Anche per me questo libro è stato un’occasione per conoscerla, attraverso la vita di tanti eroi come Helen Liberman, Christian Barnard e, naturalmente, un gigante come l’attuale presidente Nelson Mandela».
Vita: Il suo nome è legato all’India. Perché quindi ha scritto un libro sul Sudafrica?
Dominique Lapierre: È molto semplice. Un giorno un amico mi dice: «Dominique, vorrei presentarti a una madre Teresa sudafricana». Tutto quello che riguarda madre Teresa a me interessa molto e l’idea di incontrare questa donna mi ha suscitato una curiosità straordinaria. È stato così che ho conosciuto una donna bianca dell’estabilishment sudafricano di Città del Capo che si chiama Helen Lieberman e che durante la notte dell’apartheid ha realmente offerto la sua vita per alleviare le sofferenze dei neri di una grande bidonville della metropoli sudafricana. È cominciata così per me una grande avventura. Ho pensato di scrivere di questa donna e del suo lavoro umanitario e specialmente della sua sfida a una dittatura oppressiva, quella del regime sudafricano. E a poco a poco mi sono interessato al destino del suo Paese e alla sua storia. Un giorno Helen mi ha portato nel centro di Città del Capo per mostrarmi una grande statua di Jan van Riebeeck: era un olandese arrivato in Sudafrica il 6 aprile 1652. Non per una conquista del continente ma per coltivare insalate.
Vita: Comincia davvero in questo modo la storia dell’apartheid?
Lapierre: Sì, in un modo veramente prosaico! Con il capitano di una nave olandese che passa a sud dell’Africa e che ha a bisogno di offrire vitamine ai marinai che soffrono di scorbuto. Dopo cinque anni passati a coltivare insalate gli olandesi si addentrano nel centro del continente per una conquista che dura tre secoli e mezzo e che termina quando un gruppo di tre milioni e mezzo di bianchi prende il potere politico e inventa una soluzione per sopravvivere in un oceano di 25 milioni di neri, cioè la “separazione”. I bianchi si definiscono afrikaners e creano una nuova lingua, l’africaans. Mescolarsi per loro vuol dire sparire. E siccome sono calvinisti, ovvero seguono un teologo che dice che Dio ha eletto certi popoli per essere guida degli altri, sono sicuri di poter trionfare anche se sono un piccolo numero. Questo è il principio di un regime che molto più tardi, nel 1948, si istituzionalizza attraverso 1.750 leggi e disposizioni di separazione, e diventa noto con il nome di apartheid.
vita: Nelson Mandela è diventato il simbolo della vittoria contro il segregazionismo. Cos’hanno da insegnare oggi la sua storia e la sua figura?
Lapierre: Invece di chiamare alla vendetta ha avuto il coraggio di pensare che popoli diversi potevano unirsi e creare una “nazione arcobaleno”. Oggi c’è un Paese dove bianchi, neri e meticci possono costruire qualcosa insieme. È stato un regalo straordinario fatto a tutto il mondo, che indica la strada per il futuro. Peccato che non ci sia un Nelson Mandela anche in Israele, anche lì servirebbe un’iniziativa di pace e riconciliazione.

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