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Così il web ha sconfitto la censura

Il ruolo degli attivisti siriani su Internet che si oppongono al regime di Bashar al-Assad

di Redazione

Alcuni non escono di casa da mesi, altri vivono in un altro Paese. Ma il ruolo dei giovani attivisti sirani su Internet cresce via via di importanza, con il regime che impedisce ai giornalisti stranieri di entrare in Siria e la repressione che non accenna a fermarsi. Dalla Rivoluzione siriana 2011 al Coordinamento locale delle Commissioni della Siria, dal Shaam News Networks ai Giorni della rabbia siriana fino al Network degli attivisti siriani e a “Con te Siria” sono numerosi, e in crescita, i gruppi online che forniscono informazioni su quanto sta accadendo nel Paese.

E questo grazie a decine di attivisti presenti nelle città di Qamishli, Latakia, Damasco, Homs e Hama che comunicano direttamente con chi gestisce i siti sul Web dallo scoppio della protesta a metà marzo. Sfidando la tradizionale censura imposta da Bashar al-Assad già prima dell’avvio della rivolta e rischiando ogni giorno la vita con umiltà, coraggio e determinazione. E non solo per organizzare le manifestazioni via Facebook o Twitter, come è successo in altri Paesi interessati dalla primavera araba, ma proprio per aprire gli occhi al mondo su ciò che sta accadendo.

Tra gli internauti più assidui c’è Amer al-Sadeq, uscito di casa solo tre volte negli ultimi quattro mesi. L’attivista siriano, 27 anni, resta collegato al Web fino a tarda notte, tutte le notti, per rispondere al suo ruolo di portavoce dell’Unione dei coordinatori della Rivoluzione siriana. «Da quando è iniziata la rivolta nel Paese, gli attivisti che si sono opposti al regime di Bashar al-Assad hanno diffuso online le notizie sugli eventi e discusso di questi”, ha detto Sadeq a “France 24” in un’intervista tramite Skype da Damasco. «Ci siamo conosciuti poco a poco e abbiamo deciso di creare questa organizzazione per consolidare il nostro impegno. Questo ci ha aiutato a coordinare meglio i nostri sforzi sul campo e a canalizzare l’attenzione dei media internazionali. Ultimamente anche di guadagnare sostegno politico», ha aggiunto. L’Unione conta 77 “corrispondenti”  in diversi città e villaggi in Siria che provvedono a fornire informazioni sui luoghi e i tempi delle proteste, quindi a filmarle e a fotografarle, e infine a pubblicare le immagini su Internet.

E i mezzi di informazione internazionale sono sempre più dipendenti dalle foto e dai video rilanciati da questi gruppi. «Il nostro lavoro si è molto evoluto», dice Amrou, che vive in un quartiere di Parigi e raramente stacca gli occhi dal suo computer. «Inizialmente abbiamo dovuto combattere per far sì che i nostri video venissero utilizzati (dai media, ndr) o perché i nostri testimoni venissero considerato seriamente dai canali televisivi. Ora ciò che conta è fornire immagini in diretta, e in questo modo noi possiamo mostrare il vero volto della rivoluzione – prosegue – Sempre di più, le reti televisive domandano video di alta qualità, con immagini riprese bene». Amrou, che evita di fornire il suo cognome per motivi di sicurezza, coordina un piccolo gruppo di attivisti ed è in contatto continuo con loro, soprattutto da Damasco.

Hozan Ibrahim, portavoce del Comitato locale di coordinamento, vive invece ad Hannover, in Germania. Ha lasciato la Siria un anno fa e lavora in una cellula di attivisti responsabile per i media, incaricato di pubblicare informazioni e immagini sui siti dei social network. Ogni giorno invia anche aggiornamenti a decine di media internazionali e fornisce ai giornalisti contatti con testimoni e manifestanti. «Se i video e le immagini ci vengono inviati da persone che fanno parte del nostro network, noi non facciamo altro che pubblicarle – dice – Se no, ne verifichiamo la veridicità tramite due o tre fonti, e dopo le pubblichiamo. Ci sono sempre almeno cinque di questi gruppi connessi su Internet. Sappiamo sempre ciò che sta accadendo».

Ma man mano che si va avanti, la gestione della situazione si fa più difficile. Mentre Ibrahim sostiene che i network sono sempre più organizzati, di pari passo crescono anche gli ostacoli che devono affrontare. Il giovane siriano che di solito forniva immagini da Homs, e che è stato ucciso dalla sicurezza siriana, era stato posto sotto sorveglianza proprio per i suoi legami con il Web. Da Parigi, Amrou ammette che «abbiamo sempre più lavoro e non abbastanza persone per portarlo avanti. Sono meno di un centinaio quelli di noi che sono connessi sette giorni su sette e che si occupano del lavoro essenziale».

Ma anche solo essere connessi, in Siria, può rappresentare una grande sfida. «Possiamo sapere che i carri armati sono entrati in una città, ma senza immagini che lo provino la storia ha un peso minore», dice Attar. «Appena un attivista viene identificato dal partito Baath o dai servizi di sicurezza, rischia l’arresto immediato – spiega Sadeq -. Vanno porta a porta a cercarci e alcuni muoiono in carcere. Ci sono persone scomparse da mesi e non abbiamo idea di cosa sia successo loro».

Un altro rischio è venire feriti durante una manifestazione. «Durante le proteste, il pericolo principale è essere colpiti dai soldati e dalle milizie. Ma se non vieni ucciso e semplicemente ferito, il pericolo è di essere portato in un ospedale governativo dove sappiamo che molte persone vengono uccise – dice Sadeq -. Per questo noi tentiamo di allestire ospedali da campo per i manifestanti, per curare le persone subito. Ma anche questo è pericoloso». Amrou ricorda che «molti giovani sono stati uccisi dall’inizio della rivolta». Ma «la rivoluzione appartiene a tutti i giovani della Siria – dice Attar -. Sono privilegiato a fare questo lavoro, ma sono solo uno dei tanti. Stiamo tutti lottando per il nostro Paese».

 

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