Non profit

Così la candidatura della “leader” fa da vetrina al regime

La Suu Kyi pronta a presentarsi alle prossime elezioni. Ma i dubbi restano

di Redazione

La prima volta giovedì 1 e la seconda venerdì 2: dicembre inizia così, con due incontri storici tra due donne di primissimo piano sul palcoscenico della storia. Il Segretario di Stato americano Hillary Clinton si è recato in Myanmar, ex Birmania, per aprire una nuova era di dialogo tra gli Usa e lo Stato asiatico uscito da alcuni mesi, ma solo formalmente, dalla dittatura militare.
Un evento nuovo che scioglie un gelo durato mezzo secolo, evidentemente teso a stimolare il presidente Thein Sein all’accelerazione di un processo di democratizzazione ancora agli inizi. I riflettori però sono stati tutti puntati su di loro, le due donne che per la prima volta si sono incontrate vis à vis. La foto della loro stretta di mano ha fatto il giro del mondo. Giovedì presso l’ambasciata americana e venerdì a casa della leader dissidente, la Clinton ha avuto un colloquio privato con il premio Nobel per la Pace, Aung San Suu Kyi.
Un evento ancora più straordinario se si considera che la Suu Kyi ha da poche settimane annunciato l’intenzione di presentarsi alle imminenti elezioni supplettive per i 48 seggi vacanti al Parlamento, e le dichiarazioni fatte dal segretario di Stato americano dopo il colloquio lasciano intendere che l’America è al suo fianco. Non tanto per la campagna elettorale, quanto per sostenere il messaggio di amore strenuo per la democrazia che la magra ed elegante donna incarna.
Un messaggio che le è valso il Nobel ma le è costato una quindicina di anni agli arresti domiciliari, terminati a novembre del 2010. Dopo un ventennio la Suu Kyi torna quindi nell’arena politica sempre con il partito che aveva fondato nel 1988, la Lega nazionale per la democrazia, con il quale aveva ottenuto l’80% dei voti nel 1990, risultato violentemente disconosciuto dal regime militare. Le recenti aperture democratiche del governo eletto l’anno scorso ? eletto in modo non democratico, tant’è vero che il governo stesso è ancora controllato dagli ex militari ? fa comunque ben sperare la comunità internazionale e la stessa Suu Kyi. Qualcosa forse è cambiato, o se non altro questa è la speranza di tutti. Dell’Asean, l’associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico, che verrà guidata per la prima volta ? nel prossimo turno di presidenza ? proprio da Myanmar; dell’Onu, il cui segretario generale Ban Ki-Moon non solo esorta ufficialmente la prosecuzione del percorso democratico, ma annuncia il desiderio di recarsi presto in Myanmar; e degli Usa, con una Hillary Clinton raggiante e che ha addirittura anticipato Ban Ki-Moon.
Certo, le aperture e il recente rilascio di qualche centinaio di detenuti politici sembrano più che altro tesi a ottenere l’alleviamento delle sanzioni internazionali, e alla stessa Suu Kyi è stata da alcuni criticata l’eccessiva disponibilità a dialogare con un governo che continua a reprimere le minoranze etniche che vivono nelle zone montuose, lontano dalle città dove pare si stiano concentrando i pochi segnali di apertura democratica. Lavori forzati, persecuzioni religiose, torture, uccisioni, sparizioni di persone, stupri, saccheggi e distruzione di villaggi sono stati denunciati da organismi non governativi quali Physicial for Human Rights, in particolare nello Stato birmano del Chin. E secondo il Thailand Burma Border Consortium, il numero di abitanti messi in fuga dalle proprie case è raddoppiato nel 2011 rispetto al 2010.
Probabilmente la Suu Kyi spera che l’incoraggiamento internazionale costringa la giunta a ulteriori aperture e per questo a sua volta si rende disponibile al confronto politico.

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.