Non solo dazi
Così la mucca di Trump può far impazzire gli allevatori britannici
Tutti preoccupati per le tariffe doganali che la Casa Bianca minaccia di applicare al mondo ma anche quando il tycoon stringe accordi commerciali, come nel caso del Regno Unito nel settore alimentare, le insidie non mancano. Lo denuncia un professore, esperto di sostenibilità, della Anglia Ruskin University di Londra

L’inquilino della Casa Bianca ha ormai applicato e disapplicato dazi a tutto il mondo, in una rutilante campagna di dichiarazioni tanto che, effettivamente, l’opinione pubblica internazionale appare stordita: quali tariffe doganali e verso chi? Fra Usa e Cina siamo alla guerra commerciale oppure no? E con l’Europa è cominciata?
Quelli che, in questo turbine, hanno tenuto il conto, perché rischiano sulla loro pelle, sono gli agricoltori britannici e, con loro, gli attivisti che si occupano di sicurezza elementare: nei giorni scorsi hanno infatti lanciato un appello, non contro nuovi dazi fra States e Regno Unito ma proprio contro un primo accordo di libero scambio che Donald Trump e Keir Rodney Starmer hanno stipulato.
Come ha scritto il 2 giugno su The Conversation Manoj Dora, che si occupa di sostenibilità alla Anglia Ruskin University di Londra, dove dirige il Centre for Intelligent Supply Chain, «l’intesa offre un accesso senza precedenti alle esportazioni agricole statunitensi, come carne bovina ed etanolo, nel mercato britannico».

foto da www.aru.ac.uk
Intendiamoci, c’è chi sull’Isola di Albione ha salutato l’accordo come una svolta, «dopo il precedente stallo dei negoziati sotto l’amministrazione Joe Biden», ha osservato Dora, «ma i critici sostengono che potrebbe danneggiare i produttori locali, introdurre standard alimentari più bassi e persino compromettere la salute pubblica. Con il costo della vita ancora elevato», ha aggiunto, «le importazioni statunitensi più economiche potrebbero sembrare allettanti per i consumatori britannici ma molti temono che questi prodotti possano comportare un costo a lungo termine».
Downing Street assicura: no a estrogeni o pollo al cloro
Downing Street ha fornito ampie rassicurazioni: gli standard di sicurezza, portato ante-Brexit quelli che Trump rivolgendosi all’Europa definisce dazi di fatto, non saranno rimossi all’import americano in Uk: «La carne bovina trattata con ormoni e il pollo lavato con cloro restano vietati». Anche se, come spiega il professore, alla Casa Bianca, «i funzionari commerciali stanno già osservando che le norme alimentari dovrebbero basarsi sulla scienza, lasciando intendere una rinnovata pressione per consentire prodotti attualmente vietati dalla legge britannica». Insomma, l’accordo per adesso impone divieti ad alcuni trattamenti ma presto, cari cittadini del Regno, dovrete tornare a rivedere questi criteri anti-scientifici.
A mettersi di traverso, rispetto ai piani di Trump e del segretario di Stato per il commercio, Howard Lutnick, sembrano però essere i Britons stessi. Spiega Dora che «i sondaggi mostrano come la maggior parte dei consumatori britannici rifiuti la carne bovina gonfiata con gli ormoni e il pollo al cloro, attribuendo grande valore al benessere animale e alla sicurezza alimentare. Di conseguenza, qualsiasi cambiamento verso pratiche “in stile americano” potrebbe scatenare una reazione negativa».

Gli attivisti sono preoccupati della stessa formula del deal: «Il linguaggio dell’accordo, — che promette di “migliorare l’accesso al mercato agricolo”, solleva preoccupazioni sul fatto che questo possa essere solo il primo passo. Chi si occupa di sicurezza alimentare tem un’erosione graduale degli standard sotto la pressione commerciale».
L’accordo del food fra Usa e Uk
Ma cosa dice l’accordo Usa-Uk? Che Londra consentirà l’ingresso di 13mila tonnellate di carne bovina statunitense esente da dazi (prima erano 1.000 tonnellate e con un dazio del 20%) e, in cambio, gli Stati Uniti concederanno una quota equivalente per la carne bovina britannica.
Il sindacato degli agricoltori, la National Farmers’ Union – Nfu, ha da un lato alzato i boccali di birra nera e brindato al nuovo, migliore accesso al mercato a stelle e strisce ma dall’altro non nasconde la preoccupazione per tutti gli allevatori che non esportano, i farmers che forniscono cioè il mercato interno britannico e che si sentono minacciati.
«Temono che la carne bovina statunitense a buon mercato, come quella degli allevamenti intensivi del Midwest», spiega il professore, «anche se priva di ormoni, possa minacciare gli allevamenti britannici che operano secondo regole più rigide in termini di benessere animale e ambientale». Insomma la vacca del Dakota o del Michigan, allevata magari senza estrogeno, ma senza molte limitazioni rispetto ai regolamenti della Gran Bretagna, potrebbe minacciare quelle del Devon o della Cornovaglia o gli Angus della Scozia.
Il sindacato dei farmers non nasconde i rischi
La Nfu riconosce che questo «potrebbe essere un “disastro”». E se, la grande distribuzione organizzata, quella di Sainsbury’s o di Tesco per intendersi, «assicurano che continueranno a vendere carne bovina 100% britannica, gli agricoltori temono che la carne statunitense possa entrare nel mercato all’ingrosso e nella ristorazione».

E poi c’è l’etanolo. Il biocarburante, prodotto tipicamente da mais o grano, viene come è noto usato in funzione di come additivo per la benzina, per ridurre le emissioni di gas serra. L’accordo elimina il dazio del 19% dal lato britannico, con una quota di 1,4 miliardi di litri di etanolo di mais statunitense.
«Ma questa è una minaccia gli impianti di bioetanolo britannici», spiega Manoj Dora, «che acquistano ogni anno milioni di tonnellate di grano locale per la produzione di etanolo. Questi impianti svolgono un ruolo cruciale a sostegno dell’agricoltura cerealicola e delle economie rurali del Regno Unito».
A rischio, secondo la già citata Nfu, i redditi agricoli, le forniture locali di mangimi e la produzione di Co2, «ampiamente utilizzata nell’imballaggio alimentare, nella refrigerazione e nell’addizione delle bevande».
Obiettivo di Starmer, ridurre la spesa alimentare
pro-capite
Il governo Starmer punta ad alleggerire la spesa alimentare nel Regno Unito, considerato che l’inflazione, in questo comparto, ha fatto registrare un’impennata del 19% nel 2023. «La carne bovina più economica potrebbe aiutare le famiglie ad aumentare l’apporto proteico», scrive però The Conversation, «per le famiglie a basso reddito, ad esempio, piccoli risparmi sui prodotti di base potrebbero davvero migliorare la nutrizione».
Altre importazioni americane temute, quelle dei cibi confezionati, come «cereali, bevande e snack statunitensi», col rischio di un aumento dei tassi di obesità e diabete se questi prodotti diventeranno più economici e comuni.
La Nfu promette di vigiliare, il governo britannico afferma di aver preservato le protezioni alimentari ampliando, al contempo, il commercio.
«Ciò che sarà fondamentale», osserva Manoj Dora «è verificare se i consumatori percepiranno i risparmi autentici e se i supermercati continueranno a scegliere carne britannica. In caso contrario, resta da vedere se gli agricoltori del Regno Unito riusciranno a competere o se verranno estromessi. Fondamentale sarà che i regolatori britannici tengano la barra dritta nel caso gli Stati Uniti, come è possibile, facciano ulteriori pressioni: un buon accordo commerciale», conclude il professore, «non dovrebbe significare solo più scambi ma cibo più sicuro, più sano e più equo per tutti».
In apertura, mandrie a Columbus Ohio. Foto di Nati Harnik per Ap Photo/LaPresse.
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