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Cuore e cervelloper evitare un altro”caso Bernardo”
sos orso Che insegnamenti trarre da una morte annunciata
di Redazione
Orso marsicano per antonomasia, Bernardo era grosso, poderoso e flemmatico, uno sguardo cupo ma anche un po’ bonaccione. La sua morte è stata un atto di inusitata gravità, una tragedia per lui e per l’intera popolazione di orso bruno marsicano.
Bernardo fu catturato dal veterinario del Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise – Leonardo Gentile – nel marzo del 2007, e gli fu messo un radiocollare satellitare di ultima generazione. Da quel momento ci aveva inviato importantissime informazioni sui suoi spostamenti, sulla sua attività, sulle sue interazioni sociali. Era un grosso maschio dominante che nella stagione riproduttiva appena trascorsa si era accoppiato, con ogni probabilità, con varie femmine. Percorreva decine di chilometri in pochi giorni girando per mezzo parco. Bernardo era anche famoso per avere forse compiuto, negli anni precedenti, alcune incursioni notturne intorno ai villaggi in cerca di qualche pecora. Ma non era certo un orso “problematico”, come vengono generalmente detti quegli orsi che divengono troppo confidenti alla ricerca di cibo facile. Infatti Bernardo il cibo se lo cercava soprattutto da solo in montagna, frequentando i versanti e le valli più ricche di erbe succulente, frutta, ghiande, formiche e mille altre risorse stagionali.
L’avvelenamento che ne ha causato la morte lo scorso 2 ottobre è costato la vita ad altri 2 orsi, ben quattro cuccioli di lupo ed oltre 14 cinghiali. Una squadra congiunta d’intervento coordinata dal Corpo Forestale dello Stato ha trovato nella zona almeno 7 carcasse di pecore e capre, totalmente o parzialmente mangiate, e alcune di queste impregnate con erbicidi allo stato puro. Una vera bomba chimica.
Nonostante tutti abbiamo a cuore, almeno a parole, le sorti dell’orso, del lupo, del picchio dorsobianco o del giglio martagone, come ci ha indiscutibilmente dimostrato la risposta dell’opinione pubblica, Bernardo è morto lo stesso.
Nell’ultimo anno, il nostro gruppo di ricerca ha riscontrato almeno 11 casi di avvelenamento, o presunto tale, che hanno colpito lupi e cani e avrebbero potuto colpire altri orsi. Perché non aspettarsi allora che eventi simili possano accadere ancora nel 2008, nel 2010 o nel 2015, fino a quando la popolazione di orso marsicano sarà definitivamente scomparsa? Non è stata forse questa la parabola dell’estinzione dell’orso bruno sull’arco alpino?
Se vogliamo cambiare il destino dell’orso, servono metodo, strategie razionali, ragionate, lungimiranti e scientificamente fondate. La recente iniziativa del Patom (Piano d’azione per la tutela dell’orso bruno marsicano), voluta dal ministero dell’Ambiente e dalla Regione Abruzzo, e che vede coinvolte le principali istituzioni ed enti preposti alla gestione del territorio dove vive l’orso marsicano, si muove proprio in questa direzione. Serve un virtuoso mix di rigore scientifico e entusiasmo: con il cuore e con il cervello possiamo salvare l’orso. Proviamo ad imparare dai nostri errori, forse ce la possiamo fare, ma ricordiamoci le parole di Luigi Boitani: «Quella di oggi è davvero l’ultima battaglia: nessun compromesso è più possibile, l’orso non può più tollerare altri margini d’errore».
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