Cultura
Da Londra una lezione di impresa sociale
In gergo si chiamano Cic e sono le società a responsabilità limitata (di Paola Iamiceli).
di Redazione
In un quadro europeo sempre più attento al ruolo dell?impresa sociale nelle sue più diverse forme, la Gran Bretagna offre un importante spunto di riflessione. In luglio entrerà, infatti, in vigore la legge approvata lo scorso mese di ottobre sulle Community interest companies. Ovvero società a responsabilità limitata che devolvono il loro patrimonio e la loro attività a beneficio della comunità.
Oltre le charity
Perché una nuova legge in un Paese che già disciplina e promuove le charity e che riconosce le società senza scopo di lucro con funzione di promozione di interessi collettivi in determinati settori? Ci sono almeno tre motivi. Il primo, sembra essere quello di offrire un modello organizzativo già conosciuto dai cittadini e peraltro caratterizzato da un apparato di norme semplificato. La stessa Autorità di regolazione, alla quale si attribuiscono importanti poteri regolativi e di controllo, è intesa come una figura «dal tocco leggero» (così espressamente nei documenti preparatori della regolazione secondaria), non ingombrante, seppure vigile e pronta a intervenire nelle situazioni più gravi. In secondo luogo, emerge chiaramente l?esigenza di spostare l?accento dalla semplice non lucratività dell?impresa al rapporto tra l?impresa e la comunità.
La legge inglese, infatti, propone un modello organizzativo già familiare agli operatori, quello della società a responsabilità limitata, evitando di sovraccaricarlo di eccessive burocrazie, salvo un adeguato sistema di controlli che, pur vigile, si presenta come non invasivo. Mentre l?attributo ?non profit? in quanto tale perde rilievo, assolutamente centrale è l??interesse della comunità? quale fondamento della struttura organizzativa e di quella patrimoniale.
Un nuovo protagonista
La comunità sembra diventare la vera protagonista della Community interest company (Cic), ispirandone gli obiettivi, dialogando con i suoi membri (almeno per ciò che riguarda la valutazione dell?attività svolta e rendicontata nell?ambito del bilancio sociale), interloquendo con la stessa Autorità di regolazione, a cui possono essere segnalate irregolarità e violazioni.
è a questa comunità che si destina il patrimonio, grazie a un vincolo che sopravvive anche allo scioglimento dell?ente o alla sua trasformazione. Una comunità, quella concepita dalla legge, che è per definizione non riducibile alla compagine dei membri, salva la possibilità di considerare questi ultimi come portatori di interessi sociali, come accade quando la società offre opportunità di lavoro ai soci quali soggetti svantaggiati. Infine, ed è il terzo punto, la legge intende promuovere una società che sia in grado di finanziarsi in modo sostenibile: di qui non solo la possibilità di remunerare capitali dati in prestito, ma anche quella di emettere azioni e pagare dividendi (limitati) ai loro portatori. Soggetti, questi ultimi, che, dotati di poteri di intervento assai ridotti (in modo tale che la finalità sociale non sia compromessa), siano in grado di promuovere finanziariamente l?impresa.
C?è qualcosa da imparare dall?esperienza oltre Manica? La risposta è positiva per alcuni aspetti: basta pensare al sistema di rendicontazione sociale verso i beneficiari che, appena menzionato nella legge delega, è tutto da costruire, mediante legislazione delegata, secondaria o per via di autoregolamentazione.
Le differenze tra Uk e Italia
Su altri versanti, però, la legge italiana mostra delle divergenze che riducono o annullano la possibilità di un richiamo al modello inglese. Prima fra tutte, la decisione del legislatore italiano di attestarsi su una socialità definita sulla base delle «materie di particolare rilievo sociale in cui l?impresa opera la prestazione di beni e servizi» che rischia di chiudere la disciplina entro facili automatismi, senza reale attenzione al benessere della comunità. Come la legge sulle Cic, anche il testo appena licenziato dal senato italiano non ha ancora stabilito benefici fiscali a favore delle imprese sociali. Peccato che del finanziamento delle stesse si sia preoccupato assai poco, peraltro impedendo qualsiasi forma di distribuzione di utili. Una contraddizione destinata probabilmente ad incidere negativamente sul decollo dell?impresa sociale in Italia.
Paola Iamiceli