La chiamano l’area grigia dell’abitare, ma paradossalmente è quella a cui da qualche tempo tutti guardano, a partire dai costruttori e dagli investitori. Dentro si trova quella fetta di popolazione troppo povera per stare sul mercato, ma troppo ricca per accedere alla sempre più esangue edilizia popolare. Difficile dirla in numeri, visto che un censimento ad hoc non esiste, ma certo comprende una gran parte del bisogno abitativo che il centro studi Cresme valuta in una forbice fra 300mila e 500mila abitazioni. Secondo il Sunia lo scorso anno solo a Roma e Milano le famiglie in cerca di affitto che non riuscivano a sostenere i costi del libero mercato, erano quantificabili in 35mila e 22mila. Cifre che rendono bene l’idea di come alle amministrazioni locali siano rimaste ben poche cartucce da sparare. Forse una sola: quella dell’housing sociale. La sfida è tutta da giocare, ma, almeno sulla carta, il modello può essere vincente. Anche perché mette sulla stessa sponda del fiume soggetti – dalle amministrazioni pubbliche ai costruttori fino alla cooperazione sociale – che fino a ieri giocavano su tavoli separati.
La leva vale due miliardi di euro. A tanto infatti ammonta la dotazione del Fia (il Fondo investimenti per l’abitare), gestito dalla Cassa depositi e prestiti investimenti sgr, che dovrebbe costituire il trampolino per attirare investimenti nel settore per circa 6 miliardi di euro nell’arco dei prossimi 5/7 anni. Obiettivo finale: 20mila alloggi sociali, di cui ad oggi ne sono stati programmati circa 2mila. Il meccanismo è relativamente semplice. Come spiega il consigliere delegato della Fondazione Housing sociale, l’ente nato nel 2004 come emanazione di Fondazione Cariplo, Regione Lombardia e Anci Lombardia, con appunto la mission di «promuovere l’innovazione nel finanziamento, realizzazione e gestione di iniziative di edilizia privata sociale». Parola a Sergio Urbani, dunque: «La chiave è la costituzione di fondi locali che si prendano in carico, sul territorio, i vari interventi. A queste iniziative il Fia parteciperà fino a una quota massima del 40%, mentre il resto dovrà arrivare dai diversi investitori che hanno già manifestato un forte interesse su questi temi: fondazioni, amministrazioni, banche, assicurazioni, enti previdenziali, costruttori, cooperative e così via ».
Il piano targato Cdp non esaurisce la panoramica dei progetti di housing sociale che si stanno sviluppando in Italia (come testimoniano alcune delle esperienze che illustriamo in questo numero speciale di Cantieri), ma certamente segna un punto di svolta. Prova ne è il successo della Social Housing Exhibition (il padiglione sociale dell’Eire, l’Expo Italia Real Estate, che si è tenuto a Milano dal 7 al 9 giugno, informazioni sul sito www.italiarealestate.it) che nella prima edizione del 2010 aveva contato su 72 partecipanti, mentre quest’anno si è superata quota 90.
Alessandro Maggioni è il presidente di Confcooperative Federabitazione Lombardia (550 cooperative e 36mila soci, una delle realtà più dinamiche nel panorama della cooperazione edilizia che nel suo complesso oggi in Italia realizza circa 24mila alloggi l’anno) e di Ccl, il consorzio di cooperative di abitazione, promosso dalle Acli e dalla Cisl milanesi associato a Federabitazione. «Sono cent’anni che facciamo edilizia sociale, mettendo sul mercato abitazioni a costi più bassi anche del 40% rispetto a quelli di mercato». Non solo: «In questi anni la cooperazione edilizia in Lombardia ha proposto affitti con canoni di 600/700 euro l’anno», premette Maggioni. Che aggiunge: «La nuova figura del gestore in qualche modo però ci costringerà a una riflessione». Per usare una metafora hi-tech, «fino ad ora abbiamo dimostrato la nostra efficienza nella progettazione e nella costruzione dell’hardware assicurando abitazioni al giusto prezzo e una buona manutenzione», ora invece «dovremo concentrarci sul software, dimostrandoci capaci di garantire giorno per giorno anche una buona socialità attraverso un pacchetto di servizi che sia all’altezza». Una sfida condivisa coi cugini della cooperazione sociale. Con 11 cooperative socie e un fatturato aggregato da 17,9 milioni di euro (dati 2010), il consorzio Sir è certamente una delle realtà più significative di Milano (la capitale indiscussa del social housing) e provincia. «L’abitare è certamente uno dei nostri ambiti di intervento, che già oggi vale circa 2 milioni di fatturato consortile, ma naturalmente in un’accezione di sostegno alle fasce disagiate della popolazione», interviene il presidente Umberto Zandrini. «Per questo ritengo che, se l’housing deve costituire una risposta alle necessità di chi ha più bisogno, non è accettabile che realtà come la nostra siano chiamate in causa solo a giochi fatti e non fin dalle fasi di progettazione degli spazi e dei servizi».
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