San Paolo, storico quartiere tradizionalmente abitato dagli operai delle prime fabbriche, soprattutto quelli provenienti in seguito dal Mezzogiorno di Italia, per tutti gli anni 70 del Novecento è stato il luogo delle lotte operaie. Oggi è un caotico miscuglio di classi sociali, etnie ed esercizi commerciali diversi, soprattutto ristoranti e pizzerie, quasi tutte gestite da immigrati stranieri. Se è andato ridefinendosi nella composizione sociale, non ha perso la sua tradizionale vivacità, ed è per questo che per le strade del quartiere la presenza di uomini e donne dalla pelle scura seduti a decine sul marciapiede di corso Peschiera, proprio prima di arrivare al frequentatissimo cinema Eliseo, è dilaniante per gli italiani residenti, divisi tra la solidarietà per un’emergenza umana e la paura di una presenza percepita come minacciosa.
La ex Casa di cura San Paolo era un ospedale dismesso ormai due decenni fa. In venti anni di abbandono si è progressivamente riempito di immondizia, ed è stato depredato di rubinetti, mobilio, porte e finestre. Quando è stato occupato dai profughi, circa un anno fa, non vi era né acqua corrente né elettricità né riscaldamento. Dopo aver chiesto invano al Comune di risolvere l’emergenza, e di fornire acqua, luce e gas a chi dentro quello stabile ci stava abitando, si è deciso per il fai da te. Con l’aiuto di associazioni e volontari, tra cui il Comitato di solidarietà con i rifugiati dei centri sociali Gabrio e dell’Askatusuna, si è cercato man mano di fornire, almeno in parte e in modo del tutto illegale, luce e acqua, mentre alcuni volontari del Gruppo Abele, assieme a liberi cittadini del quartiere, hanno organizzato banchi di raccolta per il cibo. Per l’assistenza medica ci ha pensato l’associazione Artesio, che ha disposto la concessione del domicilio sanitario presso le Asl affinché a queste persone potesse essere assegnato un medico di base.
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