Non profit

Dalle mediatrici del credito ai condomini solidali. Viaggio nell’Italia che si sta inventando un nuovo Stato sociale

di Redazione

Nely Tang ha assunto di recente nuove educatrici, alcune anche italiane, per il suo “Munting Tahanan”, la Piccola Casa. All’inizio aveva pensato di aprire un nido solo per le madri filippine che non sapevano dove lasciare i bimbi prima di correre al lavoro. L’alternativa era mandarli in patria nei primi tre anni di vita. La signora Tang allora ha pensato di ricorrere ad un micro-prestito per far partire la sua mini-cooperativa. È stata la Fondazione Risorsa Donna di Roma ad approvare il progetto: oggi la Piccola Casa accoglie anche bimbi fino a 6 anni e pure di altre nazionalità. La signora Tang ha così partecipato ad inventare quel molecolare sistema di welfare che si presenta come micro, sociale ed innovativo e che sta reggendo ai tagli e ai cedimenti strutturali accelerati dalla crisi. Un welfare di prossimità, fatto di relazioni di vicinato e di genere, di famiglie allargate, di mediazioni, di ascolto, insomma di una densa e fertile informalità. «Il welfare funziona dove è meno anonimo, dove si attivano risorse sociali e si incontrano profili individuali. In altre parole, dove riesce ad entrare in sfere private ed esperenziali», ragiona Patrizia Di Santo, responsabile di Studiocome, una società di consulenza che ha sede a Roma e che molto ha indagato le dinamiche dello stato sociale informale. Proprio su questi temi, Di Santo terrà un workshop all’interno del Forum della non-autosufficienza, in agenda a Bologna il 9 e il 10 novembre.

Un fenomeno al femminile
Sono soprattutto le donne al centro di questa innovazione, in particolare nell’ambito della cura. Spesso il motore è il microcredito, che già è una pratica ad alto tasso di relazione sociale, fatto di tempi lenti, ascolto, accompagnamento. Ma la cosa si fa interessante di fronte ad alcuni innesti ancora più di prossimità, come dimostrano ad esempio i progetti della Casa delle donne di Reggio Emilia. Qui i micro-finanziamenti erogati grazie alla Mag 6 sono utilizzati nella fase di uscita dal ciclo di violenza, per affrontare spese contenute e vitali, dalla patente alla caparra dell’affitto. A fare da “guida” per accedere al credito è un gruppo informale di una ventina di “mediatrici”. Ogni donna finanziata è seguita infatti da un “nucleo” di una o più socie della rete di microcredito. Ci racconta Ivanna: «Si cerca di instaurare una relazione forte tra donne, che protegge dai rischi di insolvenza. Una relazione fatta di consapevolezza e conoscenza reciproca. Il gruppo di microcredito è assolutamente indipendente dalla Casa delle donne e dall’Associazione “Nondasola” che la gestisce. Si condividono obiettivi e valori, i contatti sono continui, ma si usano metodi e strategie differenti». «L’esperienza ci ha insegnato che il rapporto col denaro genera dinamiche complesse e difficili da gestire tra chi lavora e la donna abusata», spiega Antonella Incerti, «le operatrici hanno un ruolo diretto solo nella fase di proposta di finanziamento, altre si occupano di erogazione, garanzia e accompagnamento. È opportuno che sia vissuto come esterno ed autonomo». Così, a Reggio Emilia, tra il 2006 e il 2011 sono stati 11 i prestiti attivati per un ammontare totale di 34mila euro. Sei sono già stati estinti, gli altri ancora in corso.
Questa attività di mediazione di bisogni sociali, realizzata in modo tanto ravvicinato, è centrale anche nell’approccio della torinese Almaterra. L’esperimento è la soglia zero nel settore dell’assistenza domestica. Anche qui la sfera è tutta informale e tra donne. Quattrocento richieste nel 2010 e 150 inserimenti, soprattutto latinoamericane e rumene. «Quest’anno il settore si è contratto per la crisi, ma non perché le famiglie in difficoltà economica abbiano deciso di farsi carico del lavoro di assistenza. È solo aumentato il nero: sfatiamo il solito racconto di un ritorno alla famiglia», spiega Mercedes Caceres. Si riposiziona dunque il mercato della cura, allarga i suoi confini informali, «non a caso si parla sempre di più di condomini solidali, di progetti di vicinato, di famiglie allargate con legami variabili», aggiunge l’operatrice torinese. A tradurlo in termini imprenditoriali ci ha pensato Katia Stancato, portavoce del terzo settore calabrese, che lancia l’idea di un patto tra «cooperative, utenti, società di mutuo soccorso, associazioni di consumatori e condomini». L’idea, insomma, è di «gestire come azienda sociale di non profit l’intero ciclo di domanda e offerta di lavoro».

Modello Alessandria
Ad Alessandria, ormai da sei anni, è attivo, grazie anche all’azienda sanitaria locale, un progetto sulla “badante di condominio”. L’esperimento, in un edificio con sette famiglie, ognuna con problemi diversi di disabilità ed infermità, ha visto all’opera un’unica persona a disposizione di tutti, dalle piccole riparazioni agli accompagnamenti, spese ed acquisto di farmaci, disbrigo di

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