Non profit

Danza e parole battono il burnout

Fondazione Manuli, 20 anni coi malati di Alzheimer

di Redazione

Circa trecento famiglie assistite ogni anno, una ventina di operatori socio-sanitari e una cinquantina di volontari: sono questi i numeri della Fondazione Manuli che dal 1992 a Milano assiste e sostiene i malati di Alzheimer e le loro famiglie.
«L’essenza del nostro lavoro», spiega Cristina Manuli, presidente della fondazione, «è stata da sempre dare un aiuto concreto a chi soffre per malattia». Un aiuto che parte dall’assistenza domiciliare: «I nostri volontari o gli operatori provenienti da cooperative sociali vanno a visitare le famiglie dei malati due o tre volte la settimana», continua Manuli, «dando la possibilità ai caregiver di rifiatare e recuperare un po’ di energie fisiche e nervose». Ma non finisce qui. Molto importanti sono infatti le terapie di tipo psicosociale, nelle quali sono centrali il contatto con l’altro e la socializzazione. Come accade all’Alzheimer Cafè.
«L’Alzheimer Cafè è nato nel 2007», racconta la presidente, «e ogni settimana, il venerdì pomeriggio, raduna una ventina di malati e le loro famiglie per svolgere attività di gruppo e soprattutto di confronto tra caregiver, che mettono in comune esperienze e problemi, attenuando la sensazione di essere soli che provano in molti». Si svolgono poi attività ricreative e artistiche come la pet therapy o la danza-movimento terapia, proposte nell’iniziativa “Isola in città”. «Con l’aiuto di esperti e volontari lavoriamo con piccoli gruppi, una dozzina di malati. E i risultati sulle loro condizioni sono stati finora ottimi», prosegue Cristina Manuli. Non solo attenzione ai malati, ma anche a chi i malati li deve assistere ogni giorno. «Proponiamo percorsi di formazione socio-sanitaria ai caregiver per migliorare le competenze utili a curare i malati, una necessità reale soprattutto visto l’aumento di badanti straniere». Un esempio? La possibilità di imparare il metodo Abc, basato sulla conversazione e particolarmente utile nei casi in cui il paziente con Alzheimer trovi sempre più difficile comunicare con la parola. Formazione, ma anche ascolto, con i servizi di consulenza e di orientamento. «Il nostro ascolto telefonico», spiega Manuli, «risponde alle domande dei familiari dei malati e li indirizza verso la soluzione migliore, mentre con i colloqui gestiti da uno psicologo diamo informazioni più precise sulla malattia e sui servizi, oltre a sostenere psicologicamente il caregiver». Tutte iniziative, quelle della Fondazione Manuli, che vanno avanti soprattutto grazie all’aiuto dei privati: «Anche se in questi ultimi tempi le donazioni sono calate del 50%, colpa soprattutto della crisi».

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