Lo Stato paga tardi (e qualche volta proprio non paga). Non è più il cliente affidabile di qualche tempo fa, quando bastava esibire un contratto sottoscritto con una Pubblica Amministrazione come garanzia bancaria. Se a questo si aggiunge l’aggressività dello stesso Stato nel recuperare i suoi di crediti, il “crunch” è fatto ed è di notevoli proporzioni. Soprattutto per imprese che con le strutture pubbliche lavorano molto, che fin qui sono state resilienti nei confronti della crisi preferendo erodere i margini operativi e non licenziare e che spesso sono già esposte finanziariamente per investimenti di grande portata e spesso innovativi e quindi più rischiosi. E così, per tutte queste ragioni, sono, o meglio dovrebbero essere, proprio le imprese sociali ad aprire la fila dei fornitori che chiedono di rientrare in tempi non biblici, o come suggeriva qualcuno, di ristrutturare il credito. Invece, quando il tema è stato toccato nel corso della conferenza stampa di fine anno del capo del governo, le lamentazioni per i ritardi dei pagamenti da parte di aziende sanitarie e altre tecnostrutture pubbliche sono venute dalle aziende farmaceutiche e dalle loro reti di distribuzione. Le solite lobbies? Probabile, ma ben attrezzate. Ad esempio con dati pronti all’uso sulla lunghezza media dei ritardi dei pagamenti. Un’informazione che per le imprese sociali è ancora sparpagliata in decine di casistiche trasmesse per sola via orale.
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