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Don Gnocchi, un beato per tutto il terzo settore

persone Parla monsignor Angelo Bazzari alla guida della fondazione

di Redazione

L’annuncio della firma del Papa sul decreto di beatificazione gli è arrivato con una telefonata riservatissima del Vaticano: «Un provvedimento che darà slancio alla società civile. A patto che…» N on tutti i beati sono uguali, almeno agli occhi degli uomini. Don Carlo Gnocchi, la cui proclamazione è stata annunciata dal Papa sabato 17 gennaio, è un beato che fa battere ancora tantissimi cuori: tutti quelli – tantissimi, decine e decine di migliaia – di chi ha trovato una vita diversa e migliore grazie all’opera che da lui è nata. Ma anche quelli di chi oggi vive con un cuore non suo, in quanto don Gnocchi è stato il primo a far breccia nelle posizioni della Chiesa, allora intransigenti sulla donazione di organi.
Certamente è battuto forte il cuore di monsignor Angelo Bazzari, terzo successore di don Gnocchi alla testa della fondazione, quando, pochi giorni fa, una telefonata riservatissima dal Vaticano gli annunciava che il decreto per la beatificazione era pronto ed era alla firma di Benedetto XVI.
Ma che importanza può avere in un mondo così disincantato come quello di oggi sapere che il proprio fondatore è assurto alla gloria dei beati? E a chi chiederlo se non a lui che oggi è alla guida dell’opera creata da don Gnocchi? (Anche se non ci sarebbe bisogno di fare domande, perché la felicità che sprizza dalla voce di monsignore, pur stanca, è più chiara di ogni risposta).

Vita: Chiederle che sentimenti ha provato è un po’ retorico. Ma è domanda d’obbligo.
Angelo Bazzari: È semplice: gioia e una gratitudine sconfinata.
Vita: Verso il nuovo beato?
Bazzari: Verso don Carlo, innanzitutto. Ma anche verso tutti quelli che ci hanno accompagnato in questo cammino. A partire dal cardinal Martini, grazie al quale è stato avviato il processo per la beatificazione di don Carlo.
Vita: Ma che importanza ha per l’opera grande che fate oggi il fatto di avere un fondatore beato? Cosa vi cambia?
Bazzari: Cambia, perché vuol dire che la Chiesa gioca la sua infallibilità su un uomo straordinario, su un grande educatore, su un riabilitatore profetico, su un precursore dei trapianti, su un imprenditore della solidarietà. È una cosa importante, che rafforza le ragioni del nostro fare e ci responsabilizza ancora di più. Ma c’è dell’altro?
Vita: Cioè…
Bazzari: Che da oggi noi e tutte le persone che vengono qui per trovare risposte ai loro bisogni hanno un protettore dalla balconata dell’eternità. Le assicuro che non è cosa da poco, data la precarietà, il dolore e la fatica che segna la vita di tutte queste persone?
Vita: In realtà quel che colpisce di don Gnocchi è che non ha fondato un ordine, ma ha messo in piedi una fondazione. Ha avuto un’idea molto laica?
Bazzari: È così. È la sua caratteristica e anche la sua modernità. Lui aveva colto l’efficacia di questa forma giuridica già agli inizi degli anni 50. È uno che vedeva davvero lontano. Ad un certo punto aveva anche pensato di fare un ordine religioso. Era stato per un periodo in una casa di don Orione. Ma era tornato dopo appena tre giorni dicendo di non avere la stoffa del fondatore. Così pensò a questa forma organizzativa molto laica, che tra l’altro ha messo al riparo la fondazione dalla grave crisi che vivono tutti gli ordini con la caduta delle vocazioni. Oggi la fondazione se la gioca a tutto campo sui bisogni sociali, interloquendo con tutti.
Vita: Tutto questo vuol dire che la beatificazione potrebbe dare slancio a tutto il terzo settore?
Bazzari: Io ne sono assolutamente convinto. Certo, bisogna innanzitutto far propria la sua passione e la sua fedeltà al proprio compito. Lui ha lasciato un’intelligenza del fare straordinaria. Ha dimostrato come la società civile organizzata possa essere preziosa sulla frontiera dei bisogni essenziali delle persone. Ma non è una scommessa da poco, specie nelle turbolenze del welfare in cui ci troviamo.
Vita: C’è quasi un tono di rimprovero nelle sue parole?
Bazzari: Vorrei che il modello rilanciato da don Gnocchi facesse diventare finalmente più adulto il terzo settore italiano, lo inducesse a darsi un’identità più precisa. Oggi il terzo settore mi sembra una grande nebulosa eterogenea. E in questa condizione non può candidarsi seriamente a rapportarsi con lo Stato e ad affrontare la competitività con il profit sui servizi alla persona.
Vita: In che senso don Gnocchi suggerisce una strada?
Bazzari: Ricordo un episodio che mi ha sempre molto colpito. È una lettera stupenda scritta a una delle sue più strette collaboratrici, Mariuccia Meda, nel 51. È una lettera in cui don Gnocchi con amarezza sente che la passione dei primi anni è stata sostituita da una progressiva burocratizzazione. Dice di non sentirsi più circondato dalla «poesia della carità e dall’ideale di fare il bene per il bene». «Ho degli “impiegati” attorno a me, distaccati dal lavoro a cui attendono». Questo richiamo a non cadere nella burocratizzazione lo sento come un richiamo forte per il nostro terzo settore di oggi.
Vita: Lei è il terzo successore di don Gnocchi alla guida della sua “baracca”, la fondazione. Ma è a differenza di chi l’ha preceduto non ha mai conosciuto il fondatore. Le manca questo rapporto diretto?
Bazzari: In effetti io sono nato nel 41 e don Gnocchi è morto nel 53. Quindi non ho mai potuto conoscerlo. Ma la sua presenza si avverte fortissima. Anzi a volte mi sento davvero schiacciato davanti a lui, che vedo come un vero gigante della carità. Poi prevale sempre il don Gnocchi seminatore di speranza, per tutti e anche per me. Quindi faccio la cosa più semplice: mi metto sulla sua scia.

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