Welfare
Don Rigoldi: “temo per il futuro di Erika”
Il cappellano del carcere minorile di Milano è preoccupato per il destino della giovane che uccise mamma e fratellino a Novi ligure. Per lei fra un anno si apriranno le parte di un carcere per adulti
di Redazione
Erika non è più la ragazzina
ombrosa e scostante che aveva varcato il cancello dell’Istituto
penale minorile Cesare Beccaria di Milano, tre anni fa, dopo
aver ucciso, insieme al fidanzatino Omar, con un centinaio di
coltellate la madre, Susy Cassini, e il fratello, appena
undicenne.
Ora è uscita dal suo mutismo, si è aperta agli altri,
compagne di detenzione, educatori, psicologi, ma
contemporaneamente il peso nel suo animo per ciò che ha fatto
é diventato sempre più gravoso. “Direi che è ancora più
fragile di allora – ha spiegato Don Gino Rigoldi, cappellano del
Beccaria – Perché in questi anni ha preso sempre più coscienza
di ciò che ha alle spalle, e non si tratta di una pena che uno
può dimenticare, non è come una refurtiva che uno può
restituire”. “Per questo temo molto il momento in cui dovrà
lasciarci” ha aggiunto il sacerdote, ricordando che secondo la
legge tra un anno, nell’aprile 2005, Erika compirà 21 anni e
per lei si spalancheranno le porte di un carcere vero.
La ragazza di Novi Ligure è stata stata condannata a 16 anni
di detenzione. I primi quattro li sta trascorrendo al Beccaria,
gli altri dovrà scontarli in una casa di pena normale. “Erika
non è assolutamente in grado di reggere in una comunità di
adulti, in una realtà esclusivamente carceraria – ha spiegato,
senza nascondere la sua preoccupazione, Don Rigoldi -. Sono
purtroppo sicuro che il suo processo di crescita e di presa di
coscienza si arresterà e temo molto per il suo futuro, per la
sua sicurezza, forse non tanto fisica, quanto psicologica: del
resto quando i giovani sono nella disperazione le tentazioni di
farsi del male, in modi diversi, sono numerose”.
Quando oltrepassò le mura del Beccaria tre anni fa, gli
educatori e gli psicologi faticarono molto ad entrare in
contatto con lei. Rifiutava qualunque tentativo di socializzare
e di essere coinvolta in una vita di comunità. Passava le ore
sul letto della stanzetta, che divideva con compagne Rom, che di
lei non sapevano nulla, uscendo dal suo isolamento solo quando
non ne poteva proprio fare a meno. Ad un certo punto, però, ha
ricominciato a guardarsi attorno, a leggere e persino a
studiare. A chi la visitava in carcere chiedeva come poteva fare
per riprendere gli studi interrotti. Poi si è messa di impegno
e entro un anno dovrebbe diplomarsi in ragioneria, gli studi che
stava seguendo tre anni fa.
“Erika ha la fortuna di un padre molto attento, che le sta
vicino, la segue, ma il carcere per lei sarà una realtà troppo
dura – ha ripetuto Don Rigoldi -. Ci vorrebbe un posto come
questo, dove, nonostante le inevitabili restrizioni, ci siano
degli educatori, persone che la possano aiutare ad andare
avanti”. Oppure come una comunità, un’ipotesi suggerita già
da più parti. “Bisogna attendere le decisioni del giudice – ha
detto il cappellano del Beccaria – Quello di Novi Ligure è
stato però un caso che ha sconvolto troppo tutti e temo che le
pressioni dell’opinione pubblica influiranno molto sul futuro di
Erika”.
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