Avis, il nuovo presidente

Donare il sangue è cultura, gratuità e stile di vita

«Senza donatori non c'è Avis». Intervista a Oscar Bianchi, appena eletto alla guida di una realtà associativa longeva, con quasi cento anni di storia. Le sfide per il futuro? «Raggiungere nel più breve tempo possibile l’autosufficienza nei plasmaderivati, lavorare insieme per affrontare il tema del ricambio generazionale e valorizzare la cultura del dono, che in Italia è un vero e proprio modello»

di Daria Capitani

Il nuovo presidente di Avis nazionale è un volto noto per chi ha a cuore la donazione di sangue: prima di raccogliere il testimone di Gianpietro Briola, il suo predecessore, Oscar Bianchi ha già ricoperto in associazione il ruolo di presidente provinciale (Bergamo) e regionale (Lombardia). Esperienze che mette a disposizione con una conoscenza profonda e capillare del mondo Avis e non solo. 53 anni, sposato con due figlie, è stato nominato recentemente presidente di CSVnet Lombardia, la Confederazione regionale dei centri di servizio per il volontariato. Bergamasco, laureato in Economia e Commercio e in Giurisprudenza, è responsabile d’area all’interno di un importante istituto di credito.

Il presidente Avis nazionale Oscar Bianchi.

Al suo insediamento, a inizio giugno, ha invitato al dialogo e al confronto a ogni livello «per costruire insieme una grande associazione, con l’obiettivo primario dell’unità». È un bel messaggio in un momento storico che sembra segnato più dall’individualismo e dalla frammentazione che dal senso di comunità. «Continuerei la frase aggiungendo che unità non vuol dire unanimità», spiega. «Credo nell’importanza delle specificità di ognuno e nell’apertura al confronto e al dialogo, anche duro, ma una volta che si è individuata la giusta sintesi e una linea da condividere, questa deve diventare unità, una direzione che tutti possano interpretare al meglio, mettendo al centro il bene di Avis, di ogni donatore e, di riflesso, del malato. Il nostro compito primario è quello di garantire al malato sangue e plasma».

Cultura del dono

Nel quadrennio che si sta aprendo con il mandato di Bianchi, Avis festeggerà i cento anni di vita (la data di nascita risale al 1927). Quali sfide attendono una realtà così longeva? «Io penso che le sfide appartengano a due grandi mondi», dice il presidente. Il primo ha a che fare con la gratuità del dono: «Dovremo mantenere alta l’attenzione e fare l’impossibile affinché il dono in Italia continui a essere gratuito e non si ricorra, come accade in altri Paesi, al mercato per quanto riguarda i globuli rossi, il plasma e i prodotti plasmaderivati ed emoderivati. Da quasi cento anni l’Italia opera dentro la gratuità del dono e vogliamo continuare a farlo. È un valore di cui abbiamo avuto la prova provata durante il periodo della pandemia, quando i donatori di sangue, pur nel rischio, hanno continuato a donare dentro le unità di raccolta associative: è il risultato di un percorso di costruzione di una cultura del dono che oggi è un vero e proprio modello e anche una forza. Una forza d’animo per il bene comune: la cultura del dono è un valore inestimabile che non possiamo permetterci di perdere, va oltre il dono perché intercetta la cura dell’altro e il bene per l’altro».

La seconda prova a cui è chiamata l’Avis nel guardare al futuro, secondo Bianchi, è «la valorizzazione della rete associativa, o meglio, delle reti associative. Avis è dentro al mondo del volontariato che caratterizza il nostro Paese. Gli scenari e la società cambiano velocemente: noi non possiamo pensare di camminare da soli, dobbiamo costruire reti di associazioni di volontariato che collaborino ciascuna per il proprio pezzettino. Lavorare insieme è la via per affrontare il tema del ricambio generazionale e guardare al nuovo modo di fare volontariato dei giovani. Il volontariato di domani è specializzato, professionalizzato, coinvolgente: per questo è importante mettere le persone nella condizione di acquisire competenze, formare e formarsi».

Che cos’è l’Avis oggi? Per Bianchi è «dono del sangue e volontariato, ma non solo. È cultura del dono, stile di vita, convivenza e socializzazione, attenzione al prossimo e cura di se stessi, perché l’atto della donazione può diventare luogo di prevenzione. Un milione e mezzo di persone tre volte l’anno si reca in Avis per donare il sangue: in quel contesto si può introdurre un esame in più, una informativa da far circolare che a sua volta può creare cultura».

L’auosufficienza è un obiettivo ogni giorno

Le donazioni di sangue nel 2024 hanno superato il traguardo dei due milioni. È il dato emerso dalla 91ª assemblea generale di Avis a Brescia. Degno di nota il sorpasso dei numeri pre-pandemia, che aveva determinato una flessione di tutti i valori. È un dato che fa ben sperare, il segno di una rinnovata fiducia e disponibilità degli italiani verso un gesto fondamentale per la sopravvivenza di molte persone. «Due milioni di unità di sangue raccolte sono importanti, ma l’autosufficienza va conquistata e mantenuta tutti i giorni. Dobbiamo ricordarci che vengono utilizzate cinque sacche di sangue ogni minuto negli ospedali italiani e che ogni giorno 1800 persone ricevono una sacca di sangue. Per questo è fondamentale reclutare sempre nuovi donatori: il miglior posto dove conservare il sangue è il corpo dei donatori e delle donatrici pronti a rispondere presente in caso di necessità». Per quanto riguarda il plasma, «abbiamo superato la soglia dei 900mila chili ma non basta, non abbiamo l’autosufficienza. La vera sfida è raggiungere nel più breve tempo possibile l’autosufficienza nei prodotti plasmaderivati a fronte di una popolazione sempre più anziana e di bisogni crescenti. Dobbiamo intercettare e coinvolgere i giovani e i nuovi cittadini italiani».

Prima di assumerne la guida a livello nazionale, Bianchi è stato segretario di sezione nel suo comune in provincia di Bergamo, poi presidente comunale, tesoriere e presidente provinciale e regionale. «Una delle cose che mi sono ripromesso di mantenere è proprio il contatto con il territorio», aggiunge, «una prossimità nei confronti del donatore. Soltanto respirando i problemi dal vivo si possono pensare soluzioni per tutti e di tutti: il donatore deve essere sempre ascoltato e accompagnato nel gesto della donazione, perché senza donatori non c’è Avis».

Le fotografie sono di Ufficio stampa Avis nazionale

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