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Donetsk, una città senza pace

«Nonostante le speranze, la tanto enfatizzata tregua di Minsk non ha ancora dato i risultati tanto attesi». A parlare è il russista Eliseo Bertolasi, inviato per Vita sul fronte del conflitto ucraino

di Redazione

Nella città di Donetsk, dove mi trovo ora, nonostante le speranze, la tanto enfatizzata tregua di Minsk non ha ancora dato i risultati tanto attesi. Ogni notte si sente in lontananza il fragore dei bombardamenti. Un sottofondo, ormai, di ordinaria tragedia nella martoriata città di Donetsk.

Dalla popolazione civile ai miliziani, tutti si aspettano a breve una forte offensiva da parte dell’esercito ucraino. I miliziani che ho intervistato mi riferiscono che il numero dei mezzi blindati e corazzati sulle linee ucraine è in costante aumento. Mi riferiscono inoltre, dato, questo,  veramente inquietante, che intercettano continuamente comunicazioni via radio sia in inglese che in polacco. Che l’esercito americano sia ormai presente sul territorio ucraino non è più un mistero per nessuno. Sappiamo che i paracadutisti americani stanziati nella base di Vicenza sono già stati trasferiti in Ucraina.

Purtroppo, come c’insegna la storia degli ultimi vent’anni: dalla Somalia, alla ex Jugoslavia, dall’Afghanistan, all’Iraq quando gli Stati Uniti trasferiscono le proprie forze militari, le ritirano solo dopo averle impegnate in combattimento. In altre parole gli Stati Uniti trasportano in un determinato Paese le proprie forze armate solo in funzione di una guerra già pianificata. E qui si aprono scenari veramente preoccupanti che potrebbero trasformare la guerra civile ucraina in un conflitto di dimensioni almeno continentali..

Queste scelte non sono certamente di buon auspicio per una prospettiva di pace.

Sono stato nel sobborgo residenziale di Shabunkì (Donetsk), totalmente disabitato, tutte le case sono state metodicamente distrutte dai bombardamenti. Tra le villette e le dacie in rovina si aggirano solo i cani randagi orami diventati selvatici.  Il villaggio si trova a circa a metà strada tra l’aeroporto (le macerie dell’aeroporto) e il sobborgo di Peski che, mi dicono, dovrebbe ora essere passato nelle mani delle forze ucraine.

Intanto che parlavo col comandante dell’unita dei miliziani filorussi presenti sul posto, in sottofondo si sentivano costantemente tiri e raffiche di armi leggere. È necessario indossare sempre il casco e il giubbotto antiproiettile. Ci siamo mossi solo al riparo di mezzi blindati distrutti o dietro le macerie delle abitazioni bombardate. In questi contesti, mi ha spiegato, il pericolo maggiore è rappresentato soprattutto dagli sniper appostati e ben occultati in tutta l’area.

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