Famiglia
Donne e Media in Europa: restano gli stereotipi
Il "Libro Bianco" che ha concluso lattività di ricerca del progetto Women and Media in Europe ha rivelato dati sorprendenti sulla presenza degli stereotipi femminili nelle nostre reti televisive
di Redazione
Un “Libro Bianco” come contributo alla promozione delle pari opportunità tra donne e uomini in Europa, nel febbraio scorso si è tenuto il convegno internazionale ?Women and Media in Europe? che ha salutato la pubblicazione del libro bianco che conclude due anni di ricerca condotti dalla Fondazione Adkins Chiti: Donne in Musica.
Nell?ambito del progetto europeo ?Women and Media? a cura della Fondazione Adkins Chiti: Donne in Musica, la Fondazione Censis e la Fondazione Risorsa Donna, più due organizzazioni europee, GRREM (Francia) e Media Literacy Network (Grecia) questi sono i risultati cui è giunta la ricerca.
Il progetto ha inteso contribuire alla promozione delle pari opportunità tra donne e uomini in Europa, attraverso il cambiamento dei ruoli legati al sesso e il superamento degli stereotipi di genere. La prima parte dell?indagine si apre con una ricerca sull?immagine della donna nella televisione italiana. I generi televisivi considerati sono informazione, approfondimento, cultura, intrattenimento.
La Content Analysis di tipo tematico ha riguardato 578 unità d?analisi (servizi informativi e programmi), che salgono a 1024 nel caso di presenza di più donne con un ruolo in qualche modo strutturante all?interno della stessa unità d?analisi.
L?analisi ha previsto, inoltre, un approfondimento sulla pubblicità, comparsa su stampa periodica, come verifica e confronto dei risultati emersi dall?indagine sulla televisione. L?analisi televisiva ha riguardato le 7 emittenti nazionali: Rai 1, Rai 2, Rai 3, Canale 5, Rete 4, Italia 1 e La 7.
La distribuzione della presenza femminile è abbastanza equilibrata tra le reti considerate. La maggiore numerosità di donne si registra nella fascia preserale (18-20) dove si affollano prevalentemente attrici (56,3%), cantanti (25%) e modelle (quasi il 20%). Dunque, l?immagine più frequente è quella della donna di spettacolo.
Colpisce in modo particolare la forte presenza delle modelle: del resto le sfilate di moda sono spesso concepite come servizi di alleggerimento dopo la valanga di cupe notizie dei telegiornali.
Piacevoli, positive, collaborative Le donne in televisione sono spesso protagoniste della situazione o della vicenda rappresentata, ma assai meno frequentemente le conduttrici (10,3%). Lo spazio offerto alla figura femminile è ampio, ma generalmente ?gestito? da una figura maschile: hanno conquistato ruoli sempre più centrali, ma comunque restano per lo più ?comprimarie?, in relazione a una figura maschile ?ordinante?.
Se si va più nel dettaglio, comincia a profilarsi una certa distorsione rispetto al mondo femminile reale: le donne anziane sono solo il 4,8% dei casi lo status socioeconomico percepibile è prevalentemente medio-alto. Solo nel 9,6% dei casi la donna sembra appartenere a un ceto basso La donna in televisione è comunque ben vestita, truccata, pettinata. L?estetica televisiva afferma così una cura quotidiana dell?aspetto, per cui oggi nel paese ci si imbatte sempre più spesso per strada in giovani donne abbigliate come per un set televisivo.
Spregiudicata, disponibile Le caratteristiche elencate esplodono quando si parla di intrattenimento (varietà, talk show, reality). Il conduttore è uomo nel 58,1% dei casi. Lo stile della conduzione è ironico (39,2%), malizioso (21,6%), un po? aggressivo (21,6%). I costumi di scena risultano più che audaci nel 36,9% dei casi, le inquadrature indulgono vojeuristicamente sul corpo delle ballerine/attrici in quasi il 30%. Solo nel 15,7% la donna è valorizzata, cioè rappresentata in maniera da evidenziare capacità professionali o anche umane.
Non emergono capacità e abilità particolarmente evidenti né vengono citate o sottolineate. L?estetica complessiva resta quella dell?avanspettacolo. E infatti il livello complessivo dell?intrattenimento risulta mediocre (36,4%) e scadente (28,9%).
Nei reality, più in particolare, della donna si sottolinea soprattutto spregiudicatezza, esibizionismo, furbizia. Dati che rimandano allo stereotipo della ?bad girl? intraprendente e furba, spregiudicata e abile nell?ottenere vantaggi e successo.
Nell?informazione, alla donna patinata e spregiudicata dell?intrattenimento si sostituisce bruscamente la donna-vittima e, comunque, la donna del dolore. La donna compare prevalentemente in servizi di cronaca nera (67,8%); di lei si parla all?interno di una vicenda drammatica, in cui è coinvolta per lo più come vittima o in alcuni casi ?carnefice? (si pensi alla triste catena delle ?madri assassine? che la cronaca ha rovesciato nelle nostre case negli ultimi anni)
E tutte le altre donne, quelle che studiano, lavorano, cercano di affermarsi nel mondo delle professioni e della cosa pubblica? Ebbene, restano completamente in ombra, sovrastate dalla presenza esorbitante di vallette e veline dell?intrattenimento, e da un esercito di donne-vittime o donne-streghe, al centro di servizi ?autoptici? in cui non viene tralasciato alcun dettaglio dell?informazione.
Un dato balza agli occhi e conferma l?analisi: praticamente invisibili le donne impegnate in politica (6,4%). In mezzo alla polarizzazione tra donna dello spettacolo e donna della cronaca nera il fragile filtro delle anchorwomen, che sembrano volerci ricordare con la loro presenza che nella realtà le donne hanno studiato e qualche volta fatto anche buone carriere. Ma, numericamente parlando, le inviate, le anchorwomen, le donne politiche sono davvero un segmento di rappresentanza dell?universo femminile troppo esiguo. Un ulteriore dato definisce la situazione: la donna presentata nei servizi nella maggior parte dei casi ?non ha voce?, cioè di lei si parla ma non le si dà parola. Quando parla lo fa per meno di 20 secondi.
Così le donne delle fiction sono spesso più reali di quelle dei reality. La fiction rappresenta forse il genere televisivo che meglio e più di altri sta cercando di intercettare il cambiamento sociale che ha interessato negli ultimi decenni l?universo femminile. Tale sforzo non sta tanto (o non solo) nello scegliere come protagoniste delle storie, donne professionisti (commissari di polizia o donne medico) o donne di eccezionali qualità umane, quanto nello sforzo di evidenziare aspetti dell?essere donne-persone nel mondo professionale.
La professionalità, l?assunzione di responsabilità sociali e collettive, il senso del dovere, la capacità di dirigere una squadra, la correttezza nei confronti dei colleghi, la disponibilità a collaborare, la capacità di unire attitudini ?femminili? (intuito, relazionalità) con quelle considerate ?più maschili” (determinazione, prontezza nelle decisioni): doti femminili che appartengono alla sfera del sociale, che emergono nel farsi di una carriera e che difficilmente si enfatizzano nella dimensione del privato (ampiamente raccontato e rappresentato in tv) o nella scarna informazione che riguarda le donne e che come abbiamo visto si risolve prevalentemente in cronaca nera. Insomma, sembra essere necessaria la fiction per provare a rappresentare la realtà delle donne.
Nella ricerca che è durata due anni si è voluto infine confrontare la rappresentazione delle donne in Tv con quella che emerge in un altro settore delle comunicazioni: la pubblicità sulla carta stampata, in particolare sui magazine femminili, sul Corriere della Sera e La Repubblica, e sui due settimanali di informazione politica e attualità, Panorama e L?Espresso durante un mese campione.
La domanda di partenza era se gli stereotipi della comunicazione televisiva sulla donna fossero attinenti al linguaggio richiesto dal medium generalista e popolare della TV o se sui media maggiormente orientati all?approfondimento potessero rivelarsi più sfumati o addirittura assenti.
L?analisi qualitativa ha smentito qualunque ipotesi di correlazione tra tipo di medium e rappresentazione stereotipata delle donne. Ne sono infatti state evidenziate diverse talmente stereotipate da sembrare strumenti didascalici per un corso di media-education.
Ecco alcuni esempi
Amore di mamma: Si reclamizzano prodotti per bambini. La donna è solo ?evocata? attraverso la rappresentazione di una bambina abbigliata da casalinga.
I will be a scientist: Si reclamizza un prodotto per bambini. 3 bambini giocano: i due maschi si divertono molto a fare i ?piccoli chimici?. La loro amica gioca corre con un palloncino.
La ragazza dell?anno è una di voi: Si reclamizza un prodotto per donne. Compare una ragazza di spalle con indosso solo la biancheria da reclamizzare. Lo slogan recita: ?L?anno prossimo su questa pagina potreste esserci voi!?
Maschio. Nel momento: Si reclamizza un vino. Ma dal ragazzo che si accinge a sceglierlo si esalta comunque l?intelligenza, la creatività, l?armonia.
Nuda comunque: Si reclamizza una giacca a vento. La ragazza che la indossa per pubblicizzarla sembra essere incerta sulla temperatura. Infatti indossa solo quella.
Too sexy?: Si pubblicizza un prodotto per donne. La ragazza con indosso il jeans regolamentare calato sui fianchi li tiene su con un bel po? di dollari infilati nella cintola. Chiara allusione alla lap dance.
Chi porta i pantaloni non fa compromessi sui panaloni: Si pubblicizza un prodotto di abbigliamento per uomo. Un uomo a torso nudo con un paio di pantaloni di squisita fattura – porta l?indice davanti alla bocca per azzittire tutti in un gesto d?imperio e di decisione. Insomma ?chi porta i pantaloni?, cioè l?uomo, non accetta un abbigliamento meno che perfetto.
Senza parole: Un cowboy, sullo sfondo bambole mostruose, metà matrioska metà bambola gonfiabile. Una scena tristissima, più che uno stereotipo: è la negazione della donna.
Non c?è dubbio, come del resto conferma la comparazione internazionale realizzata nell?ambito della ricerca, che la pubblicità, proprio per la sua necessità di raggiungere lo scopo in poco tempo, rappresenta uno dei terreni d?incubazione più fertili per la rappresentazione dello stereotipo femminile.
Malgrado in Italia non siano mancati i tentativi di accendere l?attenzione sul tema della corretta rappresentazione dell?immagine femminile (come per esempio il Documento di indirizzo alle emittenti sulla rappresentazione della donna del Comitato per l?applicazione del Codice Tv e Minori, la Delibera Rai del 2003), non si può negare, alla fine di un confronto internazionale, il fatto che l’Italia necessiti di una decisa iniziativa nella promozione di una più moderna cultura della comunicazione intorno alla donna. Più moderna nel senso di più attenta alla sua crescita sociale, di più consapevole della complessa identità femminile, di più rispettosa dei suoi diritti di cittadinanza e del diritto costituzionale a non essere discriminata.
Non è possibile immaginare di trasporre automaticamente alcune esperienze che pure in altri Paesi è stato agevole praticare. La creazione di un tavolo di lavoro interministeriale che, in paesi con una diversa tradizione di politica culturale e di progettazione nell?amministrazione pubblica, è parsa praticabile e efficace, sarebbe nel nostro certamente prematura. Appare invece auspicabile promuovere altri tipi di interventi concreti, forse meno sistemici e impegnativi, ma non per questo meno efficaci.
Si potrebbe prevedere l?inclusione all?interno dei contratti di servizio dello Stato con la televisione pubblica, di una clausola che riguarda l?impegno a non trasmettere un?immagine discriminatoria o offensiva della donna.
Un filone potrebbe essere quello dell?uso pro-sociale dei media e in particolare della televisione per promuovere in positivo la nuova realtà delle donne attraverso:
la valorizzazione trasversale dell?immagine positiva delle donne;
la narrazione dei percorsi di vita delle donne ?eccezionali?.
il rafforzamento della rappresentazione della donna in professioni tradizionalmente maschili.
La normativa regionale. Non va sottovalutata infatti l?influenza dei mille media televisivi, radiofonici e della carta stampata che ogni giorno ?costruiscono? l?immagine sociale delle donne.
Anche in Italia, come in altri paesi, si potrebbe promuovere una normativa regionale che puntualizzi che: non bisogna diffondere contenuti che banalizzano o giustificano la violenza sulle donne; bisogna evitare il linguaggio sessista;
non bisogna presentare le donne come meri oggetti sessuali; bisogna garantire la partecipazione attiva delle donne nei media; bisogna diffondere attività politiche sociali e culturali promosse dalle donne;
bisogna garantire l?immagine plurale di entrambi i sessi; bisogna evitare la mitizzazione della bellezza; bisogna promuovere la cultura della differenza; bisogna promuovere campagne di sensibilizzazione per rimuovere gli stereotipi sessisti.
La creazione di un Ombudsman, che promuove il proficuo raccordo tra media e pubblico, raccogliendo reclami, e favorendo nel pubblico una maggiore consapevolezza dei diritti.
Nella scuola e nelle università sarebbe opportuno: creare Dipartimenti di Gender Studies in un numero significativo di Atenei; promuovere campagne di sensibilizzazione per gli adolescenti contro gli stereotipi di genere e promuovere; sviluppare programmi di Media education di genere nelle scuole, che aiuti i giovani a decodificare gli stereotipi e la rappresentazione discriminatoria.
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