Dopo Tuttal?più muoio, Filippo Timi torna con E lasciamole cadere queste stelle (Fandango), un libro dalle mille voci narranti, quasi tutte donne.
Perché ha raccolto la sfida di scrivere al femminile?
Perché avevo troppe questioni in sospeso con le donne, ma era troppo facile osservarle e descriverle dal di fuori. Alcuni brani però sono scritti da uomini, e poi ci sono donne che scrivono a donne, uomini che scrivono a uomini, brani in cui non si capisce chi scrive a chi. Volevo evidenziare come il femminile vada oltre il genere femmina.
Perché è così duro?
Duro? Io trovo che sia dolce, certo per come io so essere dolce. Per esempio mi diverte come è venuto il brano in cui un gay si innamora di una donna: la cosa più normale del mondo diventa tragica, un coming out all?incontrario, tanto che alla fine la soluzione migliore gli sembra dire che lei è un travestito.
Definirebbe il libro un tributo alle donne?
No, i tributi si fanno ai morti e io spero che il femminile non muoia mai. Diciamo che è un libro-chimera.
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