Mondo

Dove porta il corso di Sharon

Visto da Gerusalemme (di Janicki Cingoli).

di Redazione

La malattia di Arafat pare avere avviato una difficile transizione nel campo palestinese. Sembra impossibile che egli possa riprendere il ruolo esclusivo ricoperto fino ad ora. Abu Mazen e Abu Ala, i due leader che insieme a Rowhi Fattouh compongono la troika incaricata di dirigere la Anp in sua assenza, appartengono alla vecchia generazione. Abu Mazen, cofondatore dell?Olp con Arafat, artefice palestinese degli Accordi di Oslo, è il più deciso a spezzare la spirale militarista in cui è precipitata la nuova Intifada, ma proprio questa sua posizione lo portò nel settembre 2003 alle dimissioni da primo ministro. Abu Ala, il suo successore, ha adottato un atteggiamento assai più prudente, il che gli ha consentito di restare in carica pur tra reiterate minacce di dimissioni.
Alle loro spalle, premono i leader che contano in materia di sicurezza, come Jibril Rajub e Mohammed Dahlan, uomo forte di Gaza, e poi la nuova generazione dei quarantenni, forgiatisi nell?Intifada, il cui esponente più noto, Marwan Barghouti, è nelle carceri israeliane. La società palestinese è rimasta a lungo ibernata, schiacciata tra il soffocante autoritarismo di Arafat, l?escalation dei diversi gruppi armati, e la sempre più schiacciante reazione israeliana.
è probabile tuttavia che tutto resti come sospeso, in attesa che le condizioni del presidente si chiariscano.
La situazione, tuttavia, non resta ferma. Gli Stati Uniti, chiunque sia il nuovo presidente, saranno costretti a porre in cima alla loro agenda, oltre all?Iraq e all?Afghanistan, la soluzione del conflitto israelo-palestinese. In Israele, la situazione pare evolversi verso un governo di unità nazionale, per portare avanti il progetto di ritiro da Gaza.
Il Piano Sharon è stato infatti approvato a larga maggioranza dalla Knesset, grazie all?appoggio dei laburisti e di tutta la sinistra, ma solo di metà del suo partito, il Likud. Il suo limite fondamentale è il suo carattere unilaterale, di ripiegamento a scopo difensivo, non contrattato in alcun modo con la controparte palestinese e non inserito nel processo di pace, nella Road Map.
Il piano, tuttavia, spezza il tabù, radicato nella destra, della Grande Israele, decidendo l?evacuazione di 25 insediamenti e l?abbandono di Gaza. Domani, nessuno del Likud potrà ancora accusare di tradimento quei leader laburisti che proponessero l?evacuazione di altre parti della Cisgiordania.
Sharon, nei giorni scorsi, partecipando alla commemorazione nell?anniversario dell?assassinio di Rabin, ha detto: «Su di lui sono state pronunciate parole che non dovevano essere pronunciate».
Era un?autocritica, per le sue stesse dichiarazioni di allora, che avevano attaccato ferocemente il premier impegnato a portare avanti gli Accordi di Washington, contribuendo a creare un clima di violenza intorno a lui.
Ma Sharon pensava anche a se stesso, oggetto degli attacchi e delle maledizioni dei coloni e dei rabbini più oltranzisti, per il suo piano di ritiro da Gaza e da quattro insediamenti della Cisgiordania. Dalia Rabin, la figlia dello statista, parlando dopo di lui, ha ricordato quel clima di violenza, ma insieme ha assicurato al premier il suo sostegno e quello delle forze di pace israeliane al suo piano di ritiro.

Janicki Cingoli

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.