Il caso Bologna
Droga: i giovani che vivono la disperazione non hanno bisogno di pipe sterili, ma di mani che li accompagnino fuori dal buio
Il comune di Bologna ha acquistato circa 300 pipe per il crack con l'obiettivo di distribuirle ai consumatori nell'ambito di una strategia di "riduzione del danno". «È grave che la questione si appiattisca a suon di propaganda politica, ed è preoccupante sentire che anche le istituzioni, come il Comune, sembrino quasi normalizzare il consumo, o comunque lo gestiscono con un approccio che rischia di trasformare un'emergenza in una pratica tollerata. Noi che viviamo ogni giorno questi "non luoghi" del consumo lo sappiamo bene: non sono gli oggetti sterili a salvare o a cambiare una vita». L’intervento di Simone Feder, psicologo della Casa del Giovane di Pavia
di Simone Feder

Il comune di Bologna ha acquistato circa 300 pipe per il crack, costo 3.500 euro, con l’obiettivo di distribuirle ai consumatori nell’ambito di una strategia di “riduzione del danno”. L’uso di pipe proprie, pulite e non condivise, ridurrebbe il rischio di infezioni e malattie trasmissibili, oltre a proteggere le labbra dalle ustioni. La questione è diventata oggetto di un acceso dibattito politico. L’intervento di Simone Feder, psicologo della Casa del Giovane di Pavia Simone Feder. È lui che otto anni fa ha messo su il team di volontari di Rogoredo a Milano. Lo abbiamo raccontato in questo pezzo “Rogoredo, il binario delle persone-spettro”.
È grave che la questione si appiattisca a suon di propaganda politica. Come se fosse la politica ad avere senso e non la vita delle persone. Parliamo di una cifra – 3.500 euro – anche irrisoria. La società dovrebbe affrontare la questione da tutt’altra prospettiva e in profondità. Innanzitutto il crack è la sostanza più deleteria per il corpo e la mente di un tossicodipendente. Questa è una realtà che è appena emersa, che dovremmo iniziare a riconoscere. Dobbiamo smettere di concentrarci sulle diatribe politiche e dare invece risposte concrete. Abbiamo bisogno di essere più veloci nell’affrontare questo disagio. Soprattutto, dobbiamo guardare a fondo nel mondo giovanile, perché il problema non sono solo le sostanze in sé: c’è un malessere profondo nei giovani e situazioni sanitarie che non possiamo più ignorare. Le sostanze che circolano oggi, inoltre, alimentano un’aggressività sempre maggiore nei ragazzi e nelle ragazze. L’uso di queste sostanze li rende incapaci di gestire anche la minima frustrazione, e lo si vede bene quando si tenta di inserirli in comunità. Le droghe sono come un cerotto su un’arteria, una soluzione superficiale a un problema grave.
Una ragazza che da poco siamo riusciti a tirare fuori dal boschetto di Rogoredo mi ha scritto: “La riduzione del danno sarebbe quella di creare piu’ luoghi in cui queste persone possano curarsi visto che l’ossessione diventa compulsione e nessun tossico vuole la pipa nuova, magari una pronta accoglienza, così inviti anche i più giovani ed inesperti a provare, a mio parere…”. Ecco è preoccupante sentire che anche le istituzioni, come il Comune, sembrino quasi normalizzare il consumo, o comunque lo gestiscono con un approccio che rischia di trasformare un’emergenza in una pratica tollerata. Personalmente, trovo difficile accettare questo indebolimento del ruolo educativo delle istituzioni. Sembra quasi che lo Stato rinunci a combattere: come si può lottare contro la cocaina o il crack se li lasciamo circolare liberamente? D’altro canto, anche noi, nelle scuole, portiamo avanti programmi di prevenzione e educazione. Non andiamo in classe a dire “non drogatevi”, ma facciamo capire che la vita è molto di più. Il nostro è un messaggio indiretto.
Non è corretto giustificare tutto puntando solo sull’aspetto sanitario, come l’idea di dare siringhe sterili per prevenire le malattie. Certo, questo può essere utile per le emergenze immediate, ma il vero problema sono le sostanze che circolano. I ragazzi stessi dicono che ciò che assumono è “intossicato”, che c’è di tutto dentro.
L’approccio che si limita a contenere solo il danno sanitario ignora il fatto che le sostanze stesse sono dannose per l’organismo. Non possiamo ignorare un mondo che ci sta stravolgendo e di cui non sappiamo più come gestirne le conseguenze. Insomma era davvero necessario parlarne in questi termini? Se un’istituzione consegna strumenti per fumare droga, qualcuno può pensare che l’uso non sia poi così grave. Noi che viviamo ogni giorno questi ‘non luoghi’ del consumo lo sappiamo bene: non sono gli oggetti sterili a salvare o a cambiare una vita. A Rogoredo lo vediamo ogni giorno: un panino, uno sguardo sincero, una parola detta col cuore possono accendere una scintilla di speranza. Molti arrivano devastati nel corpo e nell’anima, con ferite che chiedono cure immediate e mani amiche. Le risorse – poche o tante – dovrebbero servire a questo: ridurre i danni reali, curare quelle lacerazioni sulle braccia e sulle gambe che accompagnano chi è caduto verso una via d’uscita. I giovani che vivono la disperazione non hanno bisogno di pipe sterili. Hanno bisogno di mani tese che li accompagnino fuori dal buio.
Foto: Stefano Porta/LaPresse
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