Non profit

Dubai, lasciamoli fallire questi dissennati

di Redazione

Dopo una mattinata di shopping potrete sciare per due ore al costo di 40 euro, incluso scarponi e giacca a vento. Non a Cortina ma a Dubai, in un centro commerciale di quasi 500 negozi, 15 cinema e 70 ristoranti dove ci sono cinque piste da sci, di cui una lunga 400 metri, con regolare seggiovia e gatto delle nevi mentre fuori ci sono 40 gradi.
All’inizio degli anni 90 l’emirato ha vissuto un boom immobiliare che da tribù di pescatori di perle l’ha portato a diventare una metropoli con il maggior sviluppo urbanistico al mondo. Il 20% di tutte le gru da costruzione mondiali sono presenti a Dubai. Con una dissennata mania di grandezza hanno costruito isole artificiali a forma di palma, alberghi a sette stelle e l’edificio più alto del mondo: 800 metri. Solo il 6% dell’economia è derivata dal petrolio per cui hanno dovuto diversificare con finanza, turismo e immobili costruendo cattedrali nel deserto.
Ma ora questo piccolo Stato di 1,3 milioni di abitanti, di cui solo il 10% originari del luogo, è a rischio default perché la società Dubai World, controllata dal governo, ha chiesto di congelare per sei mesi i debiti di 60 miliardi di dollari, più del suo Pil che è di 50. Finiti i soldi e cantieri fermi: Standard&Poor’s stima che i progetti in stand-by siano pari a quasi 500 miliardi di dollari. Il timore è che sia il primo tassello di un domino di default immobiliare nel Golfo Persico.
Le difficoltà di Dubai ci ricordano che sui mercati finanziari ci sono situazioni nascoste che possono esplodere in qualsiasi momento, mentre tutti si preoccupano di tranquillizzarci spiegando ogni giorno che la crisi sta volgendo al termine e che tutto è sotto controllo. Nonostante la crisi finanziaria il sistema capitalistico è identico a prima, non sono state fatte riforme o nuove regole ed i capi delle banche sono gli stessi di prima. Non è cambiato nulla.
Perché dovremmo preoccuparci di salvare questi dissennati? Lasciamoli pure fallire e le banche che li hanno finanziati si arrangino. Né ci metteremo a piangere perché gli appartamenti di Brad Pitt, Clinton, Beckham e Naomi Campbell hanno perso il 50% del loro valore. Non una parola per gli immigrati indiani, pakistani e cingalesi che da anni lavorano giorno e notte per uno stipendio da fame, vivendo in baraccopoli tenute lontane da un centro lussuoso senza anima.

MA LA CRISI NON ERA FINITA?
Italia, negozi al dettaglio: vendite a settembre, -2,5%.

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