Welfare
E l’America scopre chebil musulmano è danaroso
capovolgimenti I dati sorprendenti di un'indagine della JWT
di Redazione
Due terzi delle famiglie di appartenenza islamica guadagnano più di 50mila dollari all’anno e un quarto guadagna oltre i 100mila dollari, quando la media nazionale è di 42mila dollari. Un dato che cambia le carte in tavola… di Ouejdane Mejri
I n questi ultimi anni i musulmani, come gruppo etnico, interessano molto sia agli studiosi e agli esperti di comunicazione e marketing. I musulmani immigrati in occidente sono, infatti, passati dall’essere un gruppo economicamente invisibile a quello di un’interessante fetta di mercato di potenziali consumatori.
Vestire le principesse
I musulmani del Medio Oriente e in modo particolare della penisola arabica sono da decenni l’oggetto del desiderio di aziende di prodotti di lusso che hanno investito in strategie di marketing di altissimo livello. Gli abiti di alta moda dei migliori couturier italiani e francesi venduti alle principesse e alle donne dell’alta borghesia araba sono pubblicizzati in riviste specificatamente confezionate per un pubblico musulmano. Le modelle mai troppo scollate, i capi costosissimi sono riccamente ricamati come da tradizione araba e la scelta dei colori vivaci abbina l’eleganza occidentale con i gusti locali.
Sfogliando i cataloghi del Salone del Lusso tenutosi a Dubai nel 2007 si riconoscono le strategie mirate di marketing delle maggiori aziende di gioielli, di orologi di lusso, di arredamento ma anche di costruttori di yacht e di auto. A Dubai, il mix perfetto tra strategie di marketing, qualità del prodotto, prezzo, distribuzione e pubblicità soddisfa pienamente i bisogni di un consumatore ampiamente studiato. La tradizione si sposa con il lusso per confezionare prodotti che piacciono ad una clientela non solo molto facoltosa ma prima di tutto araba e musulmana.
Grazie ai processi migratori e al fatto che molti immigrati per gli effetti non spiegabili della globalizzazione non de-ritualizzano le loro usanze nei Paesi dove vanno a lavorare, il marketing guarda ai gruppi etnici specifici non più fuori dalle frontiere nazionali ma al loro interno. Il termine tecnico è: “international market at home”.
I marketer americani hanno iniziato a studiare la comunità islamica negli Usa solo a partire del 2006 quando la JWT, la prima azienda di pubblicità americana, ha fatto una ricerca specifica sulle capacità consumistiche degli americani di religione islamica scoprendo che i circa sei milioni di musulmani in America sono in media più istruiti e più ricchi della media della popolazione. Due terzi delle famiglie musulmane guadagnano più di 50mila dollari all’anno e un quarto guadagna oltre i 100mila dollari mentre la media nazionale è di 42mila dollari. A livello d’immagine, i musulmani d’America incontrano le stesse difficoltà che affrontiamo noi qui in Europa, ma nel pratico sono nettamente avanti.
Come gli americani, la sensazione che hanno tanti musulmani in Italia è che dall’11 settembre da una parte si patisca una sovresposizione mediatica, ma dall’altra si sia quasi completamente assenti dai mezzi di comunicazione sia come produttori d’informazione sia come attenti consumatori. Infatti, pochissimi musulmani italiani sono giornalisti e quasi nessuno è il volto prediletto delle pubblicità. Gli intervistati dalla JWT hanno affermato che, pur sentendosi costantemente “sospettati”, continuano comunque a credere nel sogno americano e sono in sintonia con i valori tradizionali americani.
Non metteteci nel ghetto
Sono certa che anche tantissimi immigrati in Italia di fede musulmana si sentono vicino alle tradizioni di questo Paese e vogliono contribuire al suo sviluppo. È vero che abbiamo in genere delle esigenze alimentari particolari, che preferiamo investire i nostri soldi in banche etiche e che l’abbigliamento per certe persone dovrà essere scelto con cura. Però, come per i musulmani d’America, non credo che si abbia bisogni specifici di consumo. In compenso, la domanda che mi viene subito in mente è: «Quanto noi musulmani vogliamo che la nostra religione sia al centro della discussione pubblica?». Io avrei risposto, prima dell’eccessiva esposizione mediatica che la mia comunità vive oggi, che la mia fede fa parte della mia sfera privata. Rispondo ora a chi vuole studiarci per capire come e che prodotti offrirci, che il tema della religione tornerà a far parte della sfera privata e che crearci una nicchia di mercato per prodotti “islamici” non agevola il processo d’integrazione. Disporre della carne halal al supermercato va benissimo, ma creare un mercato parallelo nel quale se sei musulmano allora sei il benvenuto altrimenti grazie, mi sa molto di ghetto consumistico.
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