Famiglia

E se a salvare l’africa ci pensassero le donne?

Analisi. Domande e risposte alla sfida dello sviluppo

di Redazione

In questi anni si è molto parlato del possibile riscatto africano in riferimento all?orgoglio di un continente che, nelle sue molteplici espressioni – sociale, politica, economica e religiosa – avverte il bisogno di voltare decisamente pagina. E, come in una sorta di gioco degli specchi, le risposte opposte alla sfida dello sviluppo sembrano eludere il problema dello ?Stato-Nazione?, così com?è stato postulato brillantemente dallo storico inglese Basil Davidson (The Black Man?s Burden: Africa and the Curse of the Nation State, Knopf, New York 1992), vale a dire una forma istituzionale di imitazione occidentale che si traduce in governi personali e autocratici fondati sul nepotismo e la corruzione esercitati a favore di una o più componenti etniche della popolazione contro le altre.

Stati vampiro
A questo riguardo Davidson stigmatizza le pesanti responsabilità delle ex potenze coloniali nella captazione di élite autoctone che si prestano impunemente al mantenimento di rapporti economici ineguali. L?analisi di alcuni scenari infuocati, in cui la conflittualità non ha solo una valenza politico-istituzionale, ma anche militare – come nel caso emblematico della Costa d?Avorio – mette in luce l?esistenza di circuiti politici legati ad istituzioni, eserciti e milizie private, signori della guerra locali, compagnie multinazionali, finalizzati allo sfruttamento delle risorse naturali presenti sul territorio e ovviamente del tutto indipendenti da qualsiasi forma di consenso o legittimazione popolare.

L?ex governatore della Banca Centrale del Ghana, Frimpong Ansah, arrivò a definire gli Stati africani post coloniali addirittura come ?Stati-vampiro?, biasimando il drenaggio del denaro pubblico e delle risorse perpetrato dalle oligarchie locali secondo logiche clientelari e predatorie. Altri studiosi, come Jean-François Bayart, (L?état en Afrique: la politique du ventre, Fayard, Paris 1989), ritengono che questo processo degenerativo sia attribuibile all?incapacità distributiva delle risorse in direzione dello sviluppo e del benessere sociale a causa dell?asservimento a fazioni etniche incapaci di servire la ?res publica?.

Qualunque sia la spiegazione storica, mai come oggi si avvertono dei segnali di rinnovamento anni luce distanti dalle logiche efficientistiche occidentali, che tendono a sottovalutare le straordinarie potenzialità dei popoli africani. In questa prospettiva, si assiste sempre più alla scesa in campo delle donne e dei giovani. La recente elezione della signora Ellen Johnson-Sirleaf alla massima carica dello Stato in Liberia, la dice lunga. Anzitutto perché si tratta della prima donna presidente nella storia del continente, ma anche perché la sua vittoria conferma una tendenza che si sta sempre più consolidando in Africa.

Ricette al femminile
Winnie Byanyima, moglie del leader dell?opposizione ugandese Kizza Besigye, ha scelto di stare a fianco del marito durante la campagna elettorale per le presidenziali del prossimo anno. Sebbene Besigye sia stato arrestato lo scorso novembre dal regime di Yoweri Museveni, Winnie non ha lasciato il suo paese e nei circoli dell?opposizione sono in molti a credere che si presenterà alla competizione elettorale per la massima carica dello Stato qualora non fosse consentito a suo marito, tuttora in stato di detenzione.

Kingsley Y. Amoako, ghanese, segretario esecutivo della Commissione economica delle Nazioni Unite per l?Africa, sostiene che l?impulso dato alla rappresentanza politica femminile dalla Conferenza mondiale sulle donne, svoltasi a Pechino nel 1994, si è andato affievolendo negli anni in quasi tutto il mondo, tranne che in Africa. D?altronde, già alla fine del 2004, aprendo ad Addis Abeba il settimo meeting regionale sulle donne, Amoako rilevò una crescente presenza delle donne nella vita pubblica africana. Una rappresentanza femminile di tutto rispetto: il 50% nella commissione dell?Unione africana, la presidenza del Parlamento panafricano, circa il 40% nell?Assemblea nazionale ruandese e il 35% dei parlamentari in Mozambico.

In Africa le donne producono il 62% del reddito, e sarebbe ora che fossero maggiormente coinvolte – per inciso, non solo nel continente nero ma anche in altre parti del mondo – nella gestione della res publica. È il parere, per esempio, di Terezinha da Silva, presidente del Forum das mulheres del Mozambico, secondo cui saranno proprio le donne a segnare la via dello sviluppo e a ricucire lo strappo tra Nord e Sud del mondo. Per lei, «il futuro è donna per l?impegno che esse svolgono diligentemente nella società civile».

Campus in fermento
Per quanto riguarda invece il settore giovanile, non v?è dubbio che le università africane, con tutti i loro limiti finanziari e strutturali, rappresentano il locus per eccellenza nel quale innescare nuove sinergie guardando al futuro. Le proteste degli studenti di Addis Abeba contro il governo di Meles Zenawi, o l?insoddisfazione latente, nei confronti delle classi dirigenti, diffusa tra i giovani nei campus universitari di Makerere a Kampala o in quelli dei vari atenei di Nairobi indicano una voglia di cambiamento, facendo politica secondo le regole delle moderne democrazie. Per Peter Otieno, della Kenyatta University di Nairobi, si tratta di superare uno degli stereotipi più radicati sull?Africa, cioè che si tratti di un continente essenzialmente rurale, ignorando le realtà urbane multietniche e multireligiose: «La vittoria dei sostenitori del No al recente referendum costituzionale», dice, «ha rappresentato per noi studenti un segno di speranza, considerando che da questa consultazione è uscito sconfitto il nostro presidente e il suo governo composto da personaggi che hanno sempre fatto politica per arricchire le loro famiglie e le loro etnie».

Secondo John Twesigye, studente battagliero di Makerere, in Uganda, «l?istruzione dovrebbe essere al centro dello sviluppo di ogni paese dell?Africa subsahariana, dove oltre il 90% degli studenti proviene da ambienti poveri; mentre nei fatti questo non avviene». Sebbene la maggior parte degli studenti in Africa non abbia alcuna possibilità di trovare un lavoro che corrisponda alle proprie aspirazioni, dal loro impegno inteso come affermazione del diritto di cittadinanza dipende lo sradicamento dello Stato-nazione che ha già fatto tanti disastri.
di Giulio Albanese

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