Welfare
Ecco dove vivono gli immigrati
Un impressionante documento filmato di Medici senza frontiere girato a dicembre
di Redazione

Per la cronaca e le prese di posizione leggete qui
Sono due i gruppi che risiedono e lavorano nella zona come braccianti agricoli: uno ospitato nell’ex cartiera di Rosarno e l’altro nelle strutture dell’ex Opera Sila lungo la Ss 18. Agli immigrati in protesta si sono uniti altri gruppi provenienti dai centri dell’hinterland. «La situazione è pesante. Ho parlato con i migranti e ho detto loro che faremo tutto il possibile per proteggerli. Ma ho anche specificato che non devono confondere l’attacco da parte di singoli con l’atteggiamento di tutta la cittadinanza», ha detto Domenico Bagnato, commissario prefettizio a Rosarno. «Non li vogliamo più qui», ripetono i cittadini di Rosarno, «non siamo razzisti ma non è possibile vivere in questa situazione». L’episodio che ha scatenato la rivolta è il ferimento lieve di uno degli immigrati con un pallino esploso da un fucile ad aria compressa. Sebbene le conseguenze non siano state gravi, gli immigrati hanno iniziato a riversarsi sulle strade colpendo le auto bloccate sulla statale 18 con sassi.
Msf in prima linea.
Ma intanto vengono alla luce le impressionanti condizioni di vita degli immigrati che lavorano tra i campi. Sul sito di Medici senza frontiere è stato messo un documentario di dieci minuti girato a dicembre. (clicca qui per vederlo). Fra il 19 e il 23 dicembre una ventina di volontari di MSF supportati da alcuni volontari di altre associazioni locali, hanno distribuito kit igienico-sanitari a 2mila persone per alleviare le sofferenze provocate dalle drammatiche condizioni di vita e di lavoro, rese ancora peggiori dal freddo di questa stagione. La distribuzione è avvenuta in particolare nei siti di Fabbrica, Rognetta, Collina e Collina 2, nei comuni di Rosarno, Gioia Tauro e Rizziconi, dove vi è la maggior concentrazione di immigrati che vivono in condizioni drammatiche, in fabbriche abbandonate e in edifici senza elettricità e in alcuni casi senza acqua. È il caso dell’ex stabilimento “La Rognetta” a Rosarno, l’oleificio dismesso a Gioia Tauro e i casolari nella campagne di Rizziconi, chiamati “Collina” e “Collina2”.
Le condizioni di vita degradanti cui sono sottoposti i migranti impegnati come lavoratori stagionali, in maggioranza africani, hanno un serio impatto sulla loro salute, causando infezioni respiratorie, problemi osteo-muscolari e gastroenterici.
MSF ha ripetutamente contattato le autorità nelle regioni dove ha lavorato in questi anni, incluse le autorità in Calabria, per sottolineare la grave situazione umanitaria e i bisogni dei lavoratori migranti che vivono in Italia e la necessità di prendere provvedimenti urgenti per migliorare la loro situazione.
L’equipe di MSF presente nella Piana di Gioia Tauro non è stata testimone diretta degli incidenti delle ultime 24 ore, e non può di conseguenza esprimere commenti su questi. Tuttavia, vorremmo sottolineare ancora una volta le condizioni di vita degradanti cui sono sottoposti i migranti impegnati come lavoratori stagionali, condizioni che hanno un serio impatto sulla loro salute, causando infezioni respiratorie, problemi osteo-muscolari e gastroenterici. «Abbiamo ripetutamente contattato le autorità nelle regioni dove abbiamo lavorato in questi anni, inclusa la Regione Calabria, per sottolineare la grave situazione umanitaria e i bisogni dei lavoratori migranti che vivono in Italia e la necessità di prendere provvedimenti urgenti per migliorare la loro situazione».
Da vedere anche il servizio del Tg3 sulle cisterne usate come case.
Quell’inchiesta di un anno fa
Un anno fa l’inviato di Repubblica, Carlo Ciavoni era stato nei rifugi lager degli immigrati a Rosarno. Ecco una parte della sua corrispondenza:
I sopravvissuti alle odissee che hanno dovuto affrontare per arrivare fin qui, in fuga da paesi in guerra o stremati da ingiustizie e povertà, derubati e minacciati dalla teppa internazionale che governa il traffico dell’emigrazione africana, ora sono qui. Alloggiano alla “Rognetta”, dentro baracche di cartone e bambù, nell’ex deposito alimentare diroccato, senza neache il tetto, in pieno centro di Rosarno – paese commissariato per infiltrazioni mafiose – a poche decine di metri dalla scuola elementare, in mezzo al fango, ai topi e a una carcassa di montone, sgozzato qualche giorno fa da un macellaio magrebino.
Sono qui a centinaia, tutti giovani dell’Africa sud sahariana e magrebini solo perché, in questo periodo dell’anno, sono la mano d’opera più ambita nella zona, dove è tempo di raccolta di agrumi. Ogni mattina i pullmini dei caporali si presentano davanti alla “Rognetta”, o nell’ex cartiera abbandonata di S. Ferdinando (paese vicino, anche questo commissariato) dove vivono assiepati come maiali da macello più di settecento persone, in condizioni igieniche spaventose dentro baracche puzzolenti, due metri per tre, con quattro, cinque o sei letti.
Ognuno di loro, a parte le revolverate di qualche cittadino locale, ha finora imparato a conoscere il nostro Paese senza mai incontrare neanche un rappresentante delle pubbliche istituzioni. Gli unici presenti sul posto sono quelli di Medici Senza Frontiere (MSF), qui da settembre con un presidio sanitario d’emergenza, identico a quelli che sono abituati ad allestire in tutto il mondo nelle zone più difficili, impervie e pericolose, come lo Zimbawe, il Mianmar, il Nord Kivu, il Darfur. Distribuiscono sacchi a pelo e garantiscono l’assistenza sanitaria a gente che letteralmente non ha più nulla, se non le braccia per lavorare fino a 12 ore al giorno per 20 euro, in mezzo ai campi di arance, dove per arrivarci devono anche pagare il trasporto: due euro e mezzo all’andata e altrettanto per il ritorno.
“Le patologie più frequenti – dice Saverio Bellizzi, un giovane medico di MSF, ematologo, ma già con lunga esperienza sul campo in Vietnam – sono le difficoltà di respirazione, dovute al freddo, ma soprattutto al fumo prodotto dal fuoco che accendono nel capannone, tra le baracche di cartone, per cucinare e riscaldarsi”. Diffusi anche problemi di depressione: “Molti di loro – dice Cristina Falconi, responsabile del progetto MSF nella zona – vicono questo degrado come una sconfitta dalla quale non si riprenderanno più. quando telefonano a casa dicono che va tutto bene e sono proprio queste bugie che dicono anche a se stessi, a renderli ancor più tristi”.
«Se venite in Ghana, nel mio paese, siate certi che non vi tratteremmo così”», dice con orgoglio Edward, 27 anni, di Accra, che si elegge a portavoce. «Se ci devono far vivere come animali in gabbia, tra i topi e la paura della gente che fuori di qui ci spara pure addosso, perché ci chiamano per raccogliere le arance? Si decidano: o serviamo, e allora vorremmo essere trattati un po’ meglio e lavorare dignitosamente, oppure ce ne torniamo nei nostri paesi. Qui non ha più senso stare».
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