Emergenze e pessime leggi, parola di Ghedini
«La politica deve rispondere alle richieste della gente. Ma ogni qual volta si varano provvedimenti sulla spinta dell’onda emotiva, successiva a gravi fatti di cronaca, si rischia di fare peggio anziché meglio». L’ha detto Niccolò Ghedini, avvocato e consigliere del premier in materia di giustizia. Allora non è forse lecito per un cittadino dubitare che le misure straordinarie, prese sull’onda dello sdegno per la concessione degli arresti domiciliari al giovane presunto stupratore di Capodanno, siano state frettolose, poco meditate, e forse anche pericolosamente superficiali? E perché non dire che le leggi fatte sull’onda dell’emergenza sono spesso pessime leggi di cui poi, finita la pseudo emergenza, non riusciamo mai a liberarci?
Qui sono rimaste solo le guardie
Scrive Lisa, compagna di un detenuto: «Perché la rieducazione delle persone detenute continua ad essere un’utopia? Si dovrebbe dire a gran voce che nell’universo carcerario, alla stregua di qualsiasi altro ambito lavorativo, ci sono persone competenti e incompetenti, persone umane e persone prive della minima umanità». Le critiche che a volte i famigliari dei detenuti muovono all’amministrazione penitenziaria devono tener conto però della situazione disastrosa del personale: sono pochissimi gli educatori in carcere, pochi e a orario ridotto gli psicologi, solo il 10% degli operatori coinvolti nell’assistenza sanitaria (medici, infermieri e psicologi) ha un contratto a tempo indeterminato.
Vorrei un un rapporto vero con i miei nipoti
Un padre detenuto, un figlio morto in un incidente, senza che quel padre sia riuscito davvero a goderselo. È la storia di Maurizio, detenuto impegnato da anni a chiedere maggiori diritti per i famigliari di chi sta in carcere: «Oggi mio figlio non c’è più, e io maledico ogni giorno che non gli sono stato accanto. Mi ha lasciato tre splendidi nipoti, con i quali però non riesco a costruire un rapporto vero, e rivedo in loro lo stesso atteggiamento del padre, un po’ scostante, dovuto alla mancanza di quel minimo di riservatezza nel colloquio che ci permetterebbe di costruire qualcosa insieme. Questa è la realtà del rapporto che si riesce a costruire all’interno delle carceri italiane fra il cittadino detenuto e i propri figli e nipoti».
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