Mondo
Epas: il Parlamento europeo blocca il commissario Mandelson
Battaglia ancora sull'Accordo di partenriato economico. Una lettura della campagna "L'Africa non è in vendita!"
di Redazione
A Bruxelles, i ministri europei incontrano oggi i loro colleghi provenienti da 76 paesi di Africa, Caraibi e Pacifico. L’incontro rientra nel calendario dei negoziati, in corso da cinque anni, per concordare il nuovo regime commerciale destinato a rivoluzionare gli schemi delle convenzioni di Lomé e succedere all’Accordo di Cotonou. Per i Paesi Acp si tratta di una delle ultime occasioni per cambiare rotta e sottrarsi al dictat europeo di firmare entro quest’anno i nuovi accordi di libero scambio, comunemente chiamati accordi di partnership economica (Ape o Epas se si utilizza l’acronimo anglosassone).
Cade a proposito la risoluzione approvata ieri (23 maggio) dal Parlamento europeo con 550 voti a favore, 59 contrari e 59 astenuti. I parlamentari chiedono al Commissario Mandelson di non porre condizioni troppo onerose ai paesi Acp e di favorire il processo di integrazione fra questi paesi. Peccato che le simulazioni sui prospettati Epas
evidenziano un esito opposto. La richiesta dell’autore della risoluzione, l’inglese Robert Sturdy, di far pressione sui Paesi Acp per sottoscrivere gli Epas entro la fine del 2007, è stata invece cancellata e questo è certamente un segnale positivo.
Su questa scadenza i due blocchi sono su fronti contrapposti. I Paesi Acp non vedono le condizioni per rispettarla, poiché il processo dei negoziati non è maturo per una conclusione, tanto che non ha ad esempio ancora implementato l’articolo 37.6 (dell’accordo di Cotonou) che stabiliva di effettuare nel 2004 (!) una analisi della situazione dei paesi non classificati come Paesi Meno Avanzati non intenzionati ad aderire agli Epas e di esaminare possibilità alternative per continuare a garantire loro un trattamento “equivalente alla situazione esistente”. Il 15 dicembre 2006 il presidente del consiglio dei ministri Acp, Casimir Oyemba inviò al riguardo una richiesta
ufficiale al Presidente della Commissione europea José Manuel Barroso, ma l’Ue non l’ha mai presa in considerazione, così come ha fatto per diverse richieste negoziali che in questi anni i paesi Acp hanno
contrapposto alle direttive europee. Nell’ultimo incontro del comitato ministeriale di marzo a Bonn, Mandelson ha ribadito per l’ennesima volta che l’Ue non intende pianificare misure transitorie se i negoziati non verrano completati entro il 31 dicembre 2007. Il che contraddice il mandato di Cotonou che impone all’Ue di garantire dopo il 31 dicemmbre 2007, Epas o non Epas, un trattamento non inferiore a quello attuale.
Continuiamo a sostenere che concludere prematuramente il negoziato per rispettare una scadenza fissata da una istituzione, l’Organizzazione Mondiale del Commercio, che non ne rispetta una dal 2001, e farlo nel nome della cooperazione allo sviluppo, sia inaccettabile. I ministri europei devono decidere se vogliono davvero rispettare gli
impegni di Cotonou, che prevedevano come obiettivo primario degli Epas la riduzione della povertà nei paesi Acp e l’aumento del commercio al loro interno, o se dobbiamo arrenderci all’evidenza che gli Epas non sono altro che la versione sperimentale del nuovo tipo di accordi di libero scambio che l’Ue ha previsto nella sua nuova strategia
commerciale (Global Europe: Competing in the World), ovvero accordi che vadano oltre le regole Wto, “affrontando argomenti ancora prematuri per la discussione a livello multilaterale”. Ecco dunque il perché dell’insistenza su investimenti, regole di concorrenza, appalti pubblici, temi che a Ginevra sono ancora tabù mentre Mandelson insiste
a dire che sono essenziali per fare degli Epas degli strumenti di sviluppo.
La verità è che Acp ed Ue “hanno unaopinione filosoficamente diversa riguardo allo sviluppo da raggiungere” ha confessato recentemente un ambasciatore di un paese Acp e l’ipocrisia europea ha raggiunto ormai livelli insostenibili, l’annuncio della concessione di libero accesso ai propri mercati, fatto il 4 aprile, è solo l’ultimo esempio della capacità di far apparire come nuove delle promesse datate (Mandelsono le aveva anticipate nel febbraio 2005) e di far apparire consistenti delle offerte dal contenuto risibile perché tale è l’offerta di cancellare i dazi per il 5% dei prodotti ancora protetti, escludendo gli unici due di interesse per gli Acp: lo zucchero fino al 2015, ed il riso fino a data da stabilirsi (escludendo dall’offerta l’unico paese di un certo peso economico, il Sud Africa) in cambio della
cancellazione dei dazi sull’80% dei prodotti Acp e le ipoteche su servizi, appalti, investimenti, diriti di proprietà intellettuale eccetera.
Le affermazioni che Mandelson ed il suo collega allo sviluppo, Louis Michel, hanno ripetuto in questi cinque anni di negoziato, risultano offensive non solo per le popolazioni Acp ma anche per noi europei e, come dimostra la risoluzione approvata, non rappresentano neppure la voce del parlamento comunitario. Occorre promuovere un processo di revisione del negoziato che sia inclusivo e che preveda il coinvolgimento di stakeholders diversi dai
governi, primi fra tutti i movimenti sociali, i parlamenti nazionali e la società civile organizzata; occorre focalizzare il negoziato su logiche di sviluppo basate sul rispetto del diritto alla sovranità economica ed alimentare, sulla coerenza con politiche orientate ad una maggiore equità e giustizia sociale; occorre rinunciare alla
liberalizzazione degli investimenti e dei servizi essenziali e alla rigida imposizione dei brevetti.
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