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Eppure la sla non bmi ha rovinato la vita

Personaggi Mario Melazzini racconta i suoi cinque anni di malattia

di Redazione

Non è un paradosso. È la realtà vissuta di quest’uomo di mezz’età, costretto a carrozzella e respiratore, ma che non ci pensa troppo su. E in tre anni, grazie ad altra gente come lui, ha costruito qualcosa di incredibile… V oce tranquilla, suadente, tono sempre semplice, senza enfasi. Mario Melazzini, ora presidente di Aisla, l’associazione dei malati di sclerosi laterale amiotrofica, è anche il direttore scientifico del Centro Nemo, nato da una incredibile e feconda convergenza di volontà, sinergia di pubblico e privato, di volontariato, di ricerca, di professionalità. Pochi giorni fa l’annuncio che ad Aisla e Uildm, le due associazioni che hanno dato vita al Centro Nemo, nel cuore del grande ospedale pubblico milanese di Niguarda, si affianca anche Sma, l’associazione nata nel 2001 per tutelare i malati di atrofia muscolare spinale. Ho incontrato Mario Melazzini alla vigilia del suo viaggio a Birmingham, per il congresso mondiale sulla Sla.
Ecco la nostra conversazione.

Vita: Mario Melazzini, quanti anni ha?
Mario Melazzini: Cinquanta, appena compiuti. E di questi, 45 senza la compagnia della Sla, mentre gli ultimi cinque?
Vita: Quanto pesano gli ultimi cinque anni?
Melazzini: Più di tutti gli altri messi insieme, anche se di questi cinque anni ne ho buttati via due, continuando a ragionare come prima, da uomo “normale”.
Vita: Cioè?
Melazzini: Pensando che malattia e disabilità non ti consentono una vita di qualità, è una cultura nella quale siamo tutti immersi.
Vita: E invece?
Melazzini: A un certo punto ho cambiato. Ho fatto due cose. La prima, importantissima, ho accettato i miei limiti, non solo fisici, ma anche psicologici. Radicati persino nella professione; una “cara” collega quando, già con i primi segni della Sla, ero fra i possibili direttori del dipartimento oncologico, mi ha detto: «Con tutto il rispetto, ci vogliono anche le gambe?»
Vita: E quindi, in concreto, che cosa ha cambiato?
Melazzini: La prima cosa: modificare il mio approccio anche con gli altri colleghi, imponendo a me e a tutti un approccio al malato e non alla malattia. Dobbiamo curare lui, non solo un linfoma? E questo non è stato facile.
Vita: E poi?
Melazzini: Ho cominciato a guardare il mondo della Sla, un mondo che non conoscevo, avvicinandomi all’associazione e scoprendo un mondo meraviglioso, ma un po’ chiuso in un orticello. Solo che io ho avuto la fortuna di incontrare una persona eccezionale, Alberto Fontana, presidente della Uildm. È stato un amore a prima vista, avevamo lo stesso modo di affrontare i problemi.
Vita: E che cosa avete combinato insieme?
Melazzini: Grazie a Telethon, tre anni fa l’appello per avere uno spazio per un centro clinico per entrambe le patologie, Formigoni lo ha raccolto in diretta tivù, poi abbiamo trovato un ambiente attento e disponibile a Niguarda?
Vita: Sembra tutto facile, in soli tre anni?
Melazzini: Ho imparato anche l’umiltà? Cercando di mettermi in dialogo con tutti. Così è nata la Fondazione Serena, con Telethon, Uildm, Niguarda, Aisla, la Regione Lombardia. Il contenitore per dare il via al Centro Nemo, che è nato per fare qualcosa che è per noi ed è con noi.
Vita: Che cosa significa in concreto?
Melazzini: Che non ci interessava avere in squadra i grandi della ricerca genetica, che lavorano solo sulla terapia genica. Avevamo bisogno di qualcuno che si faccia sempre carico di tutti i nodi? La selezione delle figure professionali l’abbiamo fatta noi, i malati. È stata una grande sfida, alcuni colleghi non hanno capito nulla, si sono sentiti esclusi anche se avevano un bagaglio infinito di pubblicazioni eccellenti, ma noi cercavamo altro?
Vita: E mentre la sua malattia avanzava, lei riusciva a seguire tutto questo?
Melazzini: Certo, non è stato facile, ma sono sempre stato molto sereno, anche quando ho dovuto abituarmi alla ventilazione polmonare, alla peg, perché non riuscivo più a deglutire? farmi aiutare a lavarmi, a vestirmi?
Vita: Eppure non si vede? sembra che lei stia meglio di qualche anno fa?
Melazzini: In effetti quattro anni fa – quando ancora camminavo, ero autonomo – ero conciato male perché non avevo capito che la mia nuova vita poteva essere di grande qualità egualmente.
Vita: Ma non è così facile?
Melazzini: No, è di una difficoltà estrema. Impari quanto costa la vita quotidiana. Ma ti accorgi anche della grande qualità della vita, ogni giorno. Occorre riprogrammarsi l’esistenza, pensando che la disabilità non è una malattia.
Vita: Torniamo alla sua attività con Alberto Fontana per il Centro Nemo.
Melazzini: In meno di un anno siamo ormai a regime. Lavora con noi una quarantina di persone, una équipe eccezionale e affiatata: neurologi, neuropsichiatra infantile, neuroriabilitatori, pneumologo, psicologo? e poi in consulenza tutte le altre professionalità necessarie. Senza dimenticare uno staff infermieristico stupendo, i fisioterapisti, tutti insomma.
Vita: Che cosa cercavano, prima di tutto, i malati e i loro familiari?
Melazzini: Mi ha colpito molto una frase: «Vogliamo un centro in cui ci sia qualcuno disposto ad ascoltarci». Dunque non vengono in cerca di miracoli, o solo di eccellenza clinica, ma soprattutto cercano ascolto, perché sanno sulla loro pelle quali sono i problemi, quali le urgenze.
Vita: Naturalmente non si ferma qui?
Melazzini: Sì, stiamo lavorando a un ampliamento perché penso che sia fondamentale trovare uno spazio per i bambini. Ora sono ben integrati nel reparto, ma è giusto che abbiano uno spazio pensato per loro, per giocare, per sentirsi in un ambiente ancora più sereno e adatto. Lo spazio c’è, adiacente al centro, e sarà pronto entro il 2009.
Vita: E poi, immagino, la ricerca?
Melazzini: Certo, occorre un luogo, in sinergia con il centro, per dare il via a protocolli clinici sperimentali. Intanto, una bella notizia, la Regione Lombardia ha dato al Centro Nemo la qualifica di Centro di riferimento per le malattie rare. Potremo dunque traslare i risultati della ricerca di base sulla ricerca clinica. Un percorso da condividere con le associazioni dei malati, ora accanto a Uildm e Aisla c’è anche Sma. I malati non sono esperti di ricerca, ma sono interlocutori fondamentali.
Vita: Ci vorranno tanti soldi.
Melazzini: Non meno di mezzo milione di euro, per partire. Ma questo non mi fa paura? Andiamo avanti.

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