I miti della filantropia
Erogazioni, meglio passare dal “per sempre” al “di scopo”
Una delle donne più note della filantropia americana e internazionale propone una nuova narrativa per orientare i finanziamenti in questo tempo di crisi, basata non su valutazioni temporali arbitrarie, né sull'idea di irrilevanza dei sostegni economici ma sull’obiettivo del finanziamento

I miti delle filantropia è la serie curata dalla comunità di pratica filantropica Elemental, animata da Chiara K. Cattaneo e Mandy Van Deven. Interventi che rappresentano uno spaccato della filantropia internazionale e analizzano alcuni dei “miti“ più comuni che determinano il modo in cui operano le realtà donative. Interventi che, chiedondosi “e se?”, offrono approcci, interventi e nuove visioni di come si potrebbe agire per un mondo più giusto. La serie viene pubblicata anche dal Centre for Effective Philanthropy e dall’Association of Charitable Foundations, oltre che da VITA
Dalle elezioni presidenziali del novembre 2024 negli Stati Uniti, il Terzo settore ha affrontato la tempesta perfetta: crescita esponenziale dei bisogni delle comunità, tagli improvvisi e arbitrari dei sussidi federali e finanziamenti privati paralizzati. Non stupisce che molte persone si aspettino che la filantropia – con i suoi miliardi di dotazioni – faccia decisi passi in avanti questo momento di crisi.
Mentre alcune fondazioni – tra cui la Woods Fund of Chicago, la Freedom Together, e la MacArthur Foundation – hanno aumentato il volume delle erogazioni, diversi mesi ormai dentro la crisi, molte non hanno adeguato i finanziamenti.

Da tempo mi interessa il tema dei finanziamenti delle fondazioni perché le donazioni sono il principale strumento di cambiamento sociale di un finanziatore. Ho scritto dei valori e degli approcci alle decisioni sulle erogazioni allineati alla mission Sullo Stanford Social Innovation Review, e ho supportato dozzine di consigli amministrativi di fondazioni nel trasformare i propri approcci erogativi.
Eppure l’enorme divario tra l’urgente richiesta di finanziamenti e la risposta tiepida da parte delle fondazioni non potrà essere colmato da un cambiamento limitato alle politiche erogative. Dobbiamo piuttosto esaminare e sviluppare le nostre narrative profonde sullo scopo delle erogazioni filantropiche.
In perpetuo. E poi?
La narrazione più comune e potente nella filantropia è incentrata sulla perpetuità. La definizione di “in perpetuo” è “per tutto il tempo; per sempre”, e molte fondazioni operano con l’obiettivo, esplicito o implicito, di esistere indefinitamente. Questa storia di perpetuità diventa il principio operativo chiave quando si tratta di spendere: gli amministratori prendono decisioni che danno priorità all’arco temporale auspicato dalla fondazione, anziché affrontare i bisogni urgenti che mettono a rischio le comunità e il pianeta.
Questa norma e questa narrativa sono così profondamente radicate che molte fondazioni operano al loro servizio, anche quando non si tratta di un mandato esplicito nel loro statuto o nel loro regolamento. Ogni volta che gli amministratori approvano dei budget formulati per preservare la capacità finanziaria della fondazione di esistere in perpetuo, rafforzano l’idea che la sopravvivenza della fondazione in un lontano futuro è prioritaria rispetto ai bisogni attuali delle comunità.
Non tutti sono d’accordo
I critici dell’operatività in perpetuo hanno da tempo espresso preoccupazione per come rimuova la responsabilità, diluisca l’impatto, e contribuisca alla disuguaglianza intergenerazionale. In Just Giving, Rob Reich riassume le posizioni del filosofo del diciannovesimo secolo John Stuart Mill sulla perpetuità: «Sotto la parvenza di eseguire una volontà testamentaria, una fondazione trasforma le ‘intenzioni per un giorno solo’ di un uomo morto in una ‘regola per i secoli a venire’».
L’osservazione del passato della filantropia suggerisce che un modello di spesa condizionato da una mentalità di perpetuità porta a erogazioni lente e caute. Le elargizioni della maggior parte delle fondazioni private si attestano intorno alla soglia minima prevista per legge [negli Stati Uniti] del 5 per cento all’anno, indipendentemente dai bisogni urgenti e dalle opportunità di realizzare la propria mission. A differenza di altri obiettivi di finanziamento, la perpetuità richiede di dare priorità alla prolungata esistenza della fondazione rispetto alla stessa mission per cui era stata creata. In altre parole, se realizzare la mission o la strategia di una fondazione richiede oggi un investimento maggiore, l’obiettivo della perpetuità potrebbe essere in conflitto diretto con quell’obiettivo.
Spend Down (o fondazioni a durata limitata)
Un approccio alternativo che sta acquistando slancio nella filantropia è quello dello “spend down” – l’impegno da parte dei finanziatori a distribuire tutti i soldi della fondazione in un determinato periodo di tempo – un approccio tipicamente scelto dal donatore o dalla leadership dell’ente erogatore.
Un numero crescente di finanziatori sta adottando questo approccio, riconoscendo che le risorse possono avere un impatto maggiore se investite nelle comunità oggi, anziché conservate per un futuro indefinito. Alcune fondazioni, come la Kataly Foundation, definiscono questo approccio spend out”. enfatizzando l’urgenza di spostare il capitale dai fondi patrimoniali alle comunità dove è più necessario. La Lankelly Chase Foundation si è spinta ancora più in là, utilizzando il termine “ridistribuire” per descrivere il proprio impegno a spostare le risorse sotto il controllo delle comunità.

Mentre la perpetuità sminuisce il presente, un approccio spend down gli dà priorità. Si potrebbe giungere alla conclusione che questi due approcci siano in conflitto, ma queste storie di fatto condividono la preoccupazione per uno specifico lasso di tempo in cui le risorse devono essere spese – lasso di tempo quasi sempre determinato dal donatore.
Il finanziamento orientato allo scopo è un invito alle fondazioni ad allocare le risorse sulla base della loro mission, dei loro valori e della posta in gioco.
Una ‘Goccia nel mare’
Una narrativa più sottile ma altrettanto potente che condiziona le scelte di finanziamento è la storia della “goccia nel mare”, ossia l’idea che il contributo di una fondazione sia troppo piccolo per fare davvero la differenza. Questa logica emerge spesso in momenti di crisi, quando i finanziatori esitano ad aumentare il volume di spesa, convinti come sono che le loro risorse non avranno un impatto sufficientemente significativo.
Questa narrativa evitante emerge spesso anche in concomitanza con tagli al budget, quando gli enti erogatori preferiscono non confrontarsi con le conseguenze di finanziamenti ridotti, ed è un modo di razionalizzare l’inazione. Il messaggio di fondo è: «Il nostro finanziamento non cambierà il risultato finale, per cui perchè oltrepassare i nostri limiti consueti?»
In un settore che collettivamente dispone di 1,6 miliardi di dollari in dotazioni (e in crescita), è impressionante la frequenza con cui finanziatori grandi e piccoli abbracciano e utilizzano questa narrazione di insignificanza, che serve come giustificazione per mantenere lo status quo in momenti di cambiamento rapido – o di enorme bisogno.
Questa narrazione è stata ampiamente evocata all’inizio del 2020, quando alcune fondazioni esitavano ad aumentare i finanziamenti, nonostante gli enormi bisogni creati dalla pandemia. Mentre alcuni finanziatori si sono fatti avanti aumentando il volume di spesa, altri consideravano le proprie risorse delle semplici gocce in un oceano di bisogni. Oggi sentiamo ripetere la stessa storia, con i finanziatori che sostengono che l’entità del bisogno in questo momento è tale per cui qualsiasi aumento dei finanziamenti erogati non sarebbe altro che “una goccia nel mare”.
Questo inquadramento individualista ignora il potere della filantropia di spostare risorse in modalità collettive che catalizzano una più ampia trasformazione.
Una storia di finanziamento per questi tempi
Oltre alla perpetuità, allo “spend down”, e alle “gocce nel secchio”, sta emergendo una nuova narrativa che guida il modo in cui le fondazioni stanno spendendo in questo momento – una narrativa incentrata non su un arco temporale arbitrario, o sull’insignificanza del nostro dare, ma sullo scopo dello spendere, e più in generale della filantropia. Anziché essere costretti da un impegno categorico a esistere per sempre o a distribuire tutte le risorse adesso, la filantropia potrebbe invece allineare i suoi finanziamenti all’urgenza del momento, allo scopo delle sue risorse, e a una comprensione reimmaginata del ruolo della filantropia come un settore che sposta ampie risorse in allineamento con i bisogni e i sogni della comunità.
Il finanziamento orientato dallo scopo ha bisogno che le fondazioni destinino le risorse sulla base della loro mission, dei valori e di quello che il momento richiede. Necessita di una governance coinvolta e strategica, di una guida attenta, e della volontà di rispondere ai bisogni del presente, e non di ricadere in modelli finanziari obsoleti, concepiti per altri tempi. Il finanziamento orientato dallo scopo ci invita a costruire una filantropia più dinamica e reattiva, all’altezza dell’urgenza del nostro tempo – ribaltando la domanda «Quanto a lungo possiamo esistere?» in «Come possiamo fare il meglio, con le risorse che abbiamo in questo preciso momento?»
L’attivista e filosofa Grace Lee Boggs ha posto la famosa domanda: «Che ore sono sull’orologio del mondo?». Per la filantropia, una storia sul finanziamento orientato dallo scopo deve avere lo sguardo concentrato sull’orologio del mondo, per capire di cosa c’è bisogno in questo momento, e per gettare le basi del futuro che stiamo costruendo – non solo per i donatori, ma per tutti noi.
Quando poniamo lo scopo al centro dei processi decisionali delle fondazioni, i nostri finanziamenti non sono più “una goccia nel mare.” Ci uniamo, invece, alle comunità nel creare un’onda di cambiamento.
Dimple Abichandani è consulente per fondazioni e donatori, autrice di A New Era of Philanthropy e membro del consiglio direttivo di Solidaire Network.
La foto in apertura è di Szabo Viktor su Unsplash
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