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Esser lì stando qui

L’ultimo operatore italiano ha lasciato l’Iraq il 14 settembre. Come stanno rioganizzando il loro lavoro le ong? (di Stefano Arduini e Paolo Manzo).

di Redazione

La mattina del 14 settembre l?ultimo cooperante italiano ha lasciato Bagdad. In quell?istante la storia delle ong in Iraq ha voltato pagina. L?unico baluardo italiano ad occupare il fronte umanitario in Iraq dopo il rapimento di Simona Torretta e Simona Pari (avvenuto martedì 7) rispondeva al nome di Giancarlo Rodino, infermiere di 47 anni, padre di due figlie e cooperante per conto di Movimondo. Insieme al medico Kenneth (di cui l?ong romana non rivela per motivi di sicurezza né la nazionalità né il cognome) ha deciso di restare una settimana in più «in modo che il personale locale potesse lavorare anche in nostra assenza». In gioco c?è il futuro di un centro di assistenza e formazione di personale medico sanitario a Bagdad e di un programma di assistenza psicologica per donne e bambini attivo nella zona di Babylon. Il timone delle attività rimane nelle mani dell?équipe irachena.
Una soluzione ormai condivisa da tutte le ong attive sul territorio. Restare, per il personale occidentale non avrebbe avuto alcun senso se non mettere a repentaglio la stessa vita dei cooperanti. La conferma arriva dalle dichiarazioni rilasciate proprio a Vita da Rodino poche ore prima di arrivare a Damasco, dove vive con la sua famiglia: «Ormai siamo un obiettivo dei terroristi, quelli se ne fregano di ciò che facciamo, gli importa solo che siamo occidentali e quindi nemici. Passiamo la notte svegli, con gli occhi puntati sui monitor del circuito interno per essere sempre pronti a scappare nel caso le due guardie che controllano la nostra sede ci lanciassero l?allarme». Non che le acque durante le ore di luce fossero più tranquille. La barba lunga, qualche parola di arabo e l?accortezza di non portare nessun logo, «ogni precauzione può servire per avere salva la pelle».

Profilo bassissimo
«In codice lo chiamiamo ?profilo bassissimo?», interviene Dina Taddia, responsabile d?area di Gvc (quattro progetti ancora in corso a Kirkuk), ong bolognese che già dall?aprile scorso aveva deciso di far rientrare il personale espatriato. La scelta di levare le tende però non è stata indolore. Tanto che lo stesso Rodino giura, «per ovvi motivi non vi dico quando né come ma di sicuro tornerò a Bagdad, diventa difficile fare i cooperanti a distanza per troppo tempo».
Nelle cabine di comando delle ong allora si incominciano a prospettare delle alternative possibili per portare a termine i progetti già implementati. Ragionevole la strada indicata da Maurizio Carrara, presidente del Cesvi: «Anche noi da aprile non ci avvaliamo più di espatriati, che in questo momento si trovano ad Amman (nella stessa località risiede anche Ilaria Donati, la capo progetto dell?attività del Cosv, ndr), ma solo di 21 cooperanti iracheni attivi a Bassora. Tutta l?attività di monitoraggio e di valutazione dei progetti in corso è affidata a rapidi contatti fra italiani e iracheni che si tengono sulla frontiera kuwaitiana. L?epoca della cooperazione stanziale è per il momento tramontata».
Sulla stessa lunghezza d?onda si colloca anche Alberto Piatti, direttore generale di Avsi, ong che si sta occupando della ricostruzione di asili infantili nella capitale del Paese. Un?attività tenuta sotto controllo grazie ai viaggi-lampo di tre operatori italiani. «Si tratta di brevi missioni della durata non superiore ai 10 giorni effettuate a rotazioni dalla nostra task force di volontari che non si servono mai delle medesime basi logistiche e cercano di rendersi il meno riconoscibili possibile».
Gvc ha deciso invece di puntare tutto sulla carta Internet. In queste ore la Taddia sta valutando l?opportunità di un nuovo intervento umanitario a Kirkuk attraverso le informazioni sulle necessità farmacologiche della popolazioni raccolte attraverso le email. Fra tanti accorgimenti, però, bisogna segnalare anche qualche rinuncia, tenendo comunque saldo il principio che «mollare tutto oggi significherebbe dare un segnale terribile alla popolazione e alla società civile irachena che, ora più che mai, hanno bisogno di essere sostenute», per usare le parole di Davide Martina, responsabile interventi di emergenza del Coopi.
Emergency ha sospeso la costruzione di un centro chirurgico a Karbala nel sud del Paese, mentre continuano i progetti in corso nel nord dell?Iraq. L?Avsi per adesso ha sospeso l?idea di estendere l?opera di ristrutturazione di edifici scolastici anche alle scuole secondarie, perché in questo caso non potrebbe contare sul consolidato rapporto con le parrocchie cattoliche locali. L?Iscos, ong della Cisl, ha raccolto insieme alle ong degli altri due sindacati la somma di 200mila euro da destinare alla formazione di sindacalisti iracheni, «una somma che per ora mettiamo nel congelatore in attesa di momenti migliori», annuncia il presidente dell?associazione, Giangiacomo Italia. Anche Gvc negli scorsi mesi, per non mettere in pericolo la vita dei suoi operatori, ha dovuto rinunciare a progetti già finanziati da Echo (l?ufficio per gli aiuti umanitari dell?Unione europea).

Intanto a Nassiriya
Invece prosegue senza intoppi l?attività del Cimic (Civilian military cooperation), la cellula del contingente italiano a Nassiriya che si occupa di avviare (con un budget di quattro milioni di euro da spendere entro fine anno) e valutare i progetti umanitari con le stellette.
A testimoniarlo è il tenente colonnello Mario Camarga, che gestisce una squadra di circa 40 unità, tutti laureati (ci sono ingegneri, medici, agronomi, chimici): «Lavoriamo a pieno ritmo sia nel campo delle infrastrutture, per la costruzione di scuole, ospedali, fogne e potabilizzatori d?acqua, sia nella nostra attività di segnalazione di casi medici da trasferire in Italia». Nessuna novità invece intorno dalla cittadella del Medical City di Bagdad gestita dall?ottobre scorso dalla Croce rossa italiana, dove ancora lavorano 25 volontari italiani.

Stefano Arduini
Paolo Manzo

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