Visto da Pechino questo è il messaggio al mondo:
il Paese della Grande Muraglia non è in ascesa
verso lo status di grande potenza ma sta tornando
ad essere la grande potenza di un tempo da Pechino
La parola chiave dell’Expo, qua in Cina, è ritorno. Come due anni fa le Olimpiadi, l’Expo (shìbóhuì) è stata presentata al pubblico cinese come la testimonianza del ritorno della Cina sul palcoscenico mondiale. Questa idea di ritorno va capita fino in fondo, perché è cruciale per comprendere la Cina di oggi: contrariamente al discorso occidentale standard, la Cina non è in ascesa verso lo status di grande potenza; piuttosto, la Cina sta tornando a essere una grande potenza, come lo è stata fino alla metà dell’Ottocento. Così l’Expo, dopo le Olimpiadi, è per i cinesi un nuovo simbolico riconoscimento di questo ritorno: un’idea ben presente nei discorsi ufficiali che i leader cinesi hanno tenuto all’Expo.
È il caso del recente discorso di Wu Bangguo (presidente dell’Assemblea nazionale del popolo), che ha visitato l’Expo lo scorso primo ottobre, festa della Repubblica Popolare. Mentre il presidente Hu Jintao celebrava la ricorrenza a Pechino, in piazza Tian’anmen, la seconda più alta carica dello Stato si trovava a Shanghai, nel padiglione della Cina all’Expo: e questo è già di per sé simbolicamente rilevante.
Per tutta la durata della manifestazione la copertura mediatica è stata costante e dettagliata. Oltre alle televisioni, i giornali hanno coperto l’evento con pagine speciali sul cartaceo e portali dedicati su internet.
Per volume mediatico l’Expo si colloca in degna continuità con le Olimpiadi di Pechino 2008. A ben vedere, esiste un filo che collega tra loro le Olimpiadi, l’Expo e i Giochi Asiatici, che si terranno a Guangzhou (Canton), dal 12 al 27 novembre prossimi. Tre grandi eventi internazionali, che la Cina è riuscita ad aggiudicarsi; e tre grandi occasioni, che hanno portato enormi investimenti pubblici e flussi turistici in tre diverse metropoli cinesi.
Al di là del discorso pubblico ufficiale, l’orgoglio per il ritorno della Cina al proprio posto sul palcoscenico mondiale è sentimento assai diffuso tra i cinesi. Come dinanzi alle Olimpiadi, il pubblico ha reagito all’Expo con un misto di orgoglio e soddisfazione.
Capita, qua a Pechino, naturalmente, di raccogliere anche reazioni diverse, di scetticismo e insoddisfazione: l’Expo visto come spreco di fondi pubblici. Ma si tratta di giudizi minoritari: a prevalere, al contrario, è l’entusiasmo. La sera del primo maggio, nella capitale, in ogni negozio, in ogni singolo ristorante, la televisione era sintonizzata sulla cerimonia d’apertura.
Circa 70 milioni di visitatori, in larghissima parte cinesi, in questi mesi hanno preso d’assalto l’esposizione. Armati di seggioline pieghevoli, ombrellini parasole e semi di zucca da masticare, cinesi di ogni età e di ogni provenienza hanno affrontato code di sei o sette ore per entrare nei padiglioni di Paesi per loro esotici. E, una volta entrati, di nuovo in fila, per ottenere l’ambitissimo timbro del Paese sul passaporto fac-simile.
In questo l’Expo di Shanghai ha senza dubbio rispettato l’intento originario della manifestazione: far conoscere il mondo a chi, come buona parte dei visitatori cinesi, ha poche opportunità di viaggiare all’estero. Al di là del tono talvolta pubblicitario della manifestazione, la visita ai padiglioni è stata vissuta dai cinesi proprio così: come un piccolo giro attorno al mondo, dal quale portare a casa timbri sul passaporto, qualche souvenir kitsch e molte fotografie.
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