Famiglia

Famiglia, i padri italiani: “Ecco perchè facciamo pochi figli”

I risultati dell'indagine Iref-Acli "Gli italiani alla riscoperta della paternità"

di Redazione

In Italia si fanno pochi figli? E’ perché manca un sostegno pubblico adeguato. Divorzi e separazioni? Colpa della mancanza di dialogo tra coniugi, della crisi dei valori e delle difficoltà economiche familiari. Questa l’opinione dei padri italiani come emerge da una ricerca demoscopica – “Tra ideali e necessità. Gli italiani alla riscoperta della paternità” – svolta dalle Associazioni cristiane dei lavoratori italiani e presentata questa mattina a Roma nel corso del convegno “I giovani e la famiglia”, presente il presidente nazionale delle Acli Andrea Olivero.

L’indagine costituisce il rapporto nazionale di un progetto di ricerca europeo che verrà presentato a Bruxelles dall’Iref, l’Istituto di ricerca delle Acli, il prossimo 30 marzo. Il progetto, chiamato T.I.R. (Two Images in Recostruction: Paternity and Maternity), finanziato dalla Commissione Europea, coinvolge, oltre l’Italia, anche la Grecia, l’Olanda, la Svezia e la Repubblica Ceca. In ogni Paese sono stati intervistati 1000 uomini e sono state ascoltate associazioni di padri, familiari, per le pari opportunità, esperti e studiosi del settore. L’obiettivo: mettere in luce e confrontare gli stereotipi sulla paternità/maternità ancora presenti in Europa, promuovere una paternità più consapevole e responsabile, volta al raggiungimento di una maggiore parità tra uomini e donne.
A questo scopo, l’Iref ha sottoposto alla popolazione maschile italiana selezionata (un campione probabilistico di mille uomini adulti, il 70% padri) alcune questioni cruciali sulla rappresentazione e l’esperienza della paternità: il significato attribuito alla nascita del figlio e al proprio ruolo, le opinioni su chi all’interno della coppia debba occuparsi della sua educazione e della sua cura; la richiesta di servizi a sostegno della famiglia. Alcuni risultati sono stati anticipati questa mattina.

Cosa rappresenta, dunque, la nascita di un figlio per un uomo italiano? Più della metà del campione (55%) sembra viverla innanzitutto come un condizionamento, una responsabilità, se non un sacrificio; per il 44%, invece, la nascita di un figlio rappresenta uno stimolo ed un’opportunità. In un caso abbiamo l’immagine di una paternità come chiusura: termina il periodo più spensierato della propria vita, il nuovo arrivato destabilizza gli equilibri esistenziali degli individui; nell’altro caso si profilano i caratteri di una paternità come apertura: diventare padre significa aprire una nuova fase della propria esistenza.

E perché si fanno pochi figli? A causa della sostanziale inadeguatezza delle politiche familiari, dicono gli intervistati (35%), che si manifesta nella carenza di servizi per l’infanzia che consentano ai genitori di conciliare tempi di vita e di lavoro (22%); e nel disinteresse dei politici verso i fabbisogni delle famiglie (13%). Giudicata decisiva anche la “perdita dei valori tradizionali della famiglia” (27%) e la tendenza a procrastinare l’appuntamento con la paternità/maternità dovuta alla “maggiore consapevolezza dei futuri genitori” (18%). Una risposta importante può dunque arrivare dalle politiche sociali volte ad agevolare il compito dei genitori. Gli uomini intervistati chiedono un maggior sostegno economico alle famiglie (35%), incentivi alle imprese perché diano maggiori servizi alle coppie con figli (22%), una politica di adeguamento degli orari di lavoro alle esigenze familiari (21%).

La famiglia e l’aumento dei divorzi e delle separazioni. I padri italiani puntano l’indice sulla mancanza del dialogo tra i coniugi (33%), sul declino dei valori tradizionali della famiglia (23%), sulle difficoltà di carattere economico unite alla mancanza di strutture e servizi per le famiglie (21%). Avvertito come problematico anche l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro (9%)

«E’ tempo di una riflessione seria sul tema della famiglia e delle sue necessità – ha affermato il presidente nazionale delle Acli Andrea Olivero – Dobbiamo interrogarci su come fare in modo che la famiglia abbia l’attenzione, il ruolo, le condizioni perché possa svolgere le sue funzioni di prima cellula comunitaria, di luogo in cui si esercitano le attività primarie della cura, della cura, della solidarietà e dell’amore. Ci sono problemi culturali che vanno indagati a fondo: cosa c’è dietro la “mancanza di dialogo”? Ci sono poi, intrecciati con i primi, problemi sociali ed economici di cui la politica può e deve farsi carico, e non solo in campagna elettorale, con risposte serie e impegnative. Auspichiamo provvedimenti strutturali, che abbiano carattere universale, che leggano le famiglie non solo come destinatarie di provvidenze, ma che le inseriscano nella progettazione e nella gestione dei servizi ad esse dedicati, con una rivalutazione della componente dei servizi offerti dalle istituzioni e dal privato sociale rispetto ai soli aiuti economici e monetari. Provvedimenti che abbiano anche presente – vogliamo dirlo – l’esigenza che il modello familiare di riferimento sia quello basato sul dettato costituzionale».

La ricerca dell’Iref ha tentato di indagare l’immaginario familiare dei papà italiani, a partire dai modelli di riferimento, l’assegnazione di ruoli e compiti, l’educazione dei figli. Resiste ancora, piuttosto saldamente, il modello paterno tradizionale. Per un uomo su due “sarebbe meglio che i padri di oggi fossero più simili ai padri di ieri”. L’eventualità di attualizzare il modello tradizionale di padre trova molto d’accordo il 24% degli intervistati e abbastanza d’accordo il 26%; al contrario, il 23% non vede per nulla di buon occhio questa possibilità. Il desiderio di rinverdire il passato dipende in maniera decisa dall’età degli individui; ma se può apparire scontato l’accordo manifestato dagli ultrasessantacinquenni (71%), sorprende invece che ben il 40% dei giovani sotto i 35 anni mostri una convinta predilezione per un modello di paternità tradizionale.

La maggiore o minore nostalgia per i padri di ieri condiziona anche gli orientamenti relativi alla gestione dei figli e del ménage familiare. Coloro, infatti, che sono più nostalgici dei padri di una volta intendono la figura genitoriale maschile come nettamente distinta, nei ruoli e nei compiti, da quella materna (40%). Una percentuale che scende al 30% sul totale dei padri intervistati, i quali esprimono invece nel complesso una propensione abbastanza significativa (68%) allo scambio di ruoli con la donna. Tuttavia, ben il 75% degli uomini italiani ritiene sostanzialmente giusto che quando la madre non lavora sia soprattutto lei ad occuparsi dei figli e della casa.

Interessanti anche i riscontri sulle diverse concezioni educative che informano il ruolo genitoriale paterno. Posti davanti alla scelta rispetto a due modelli educativi alternativi, la maggior parte dei rispondenti (78%) ha optato per un approccio di tipo normativo: l’imposizione di regole di comportamento da far rispettare anche attraverso l’uso di atteggiamenti severi.. Meno di un quarto (22%) dei padri, invece, ha scelto l’alternativa più “morbida”: assecondare i figli e non essere severi con loro. La dimensione normativa della paternità appare messa in rilievo anche da quei padri, più di un terzo, che nei rapporti con i figli si pongono prevalentemente l’obiettivo di farsi obbedire (9%) e rispettare (27%). Diversa, e maggioritaria, la posizione di coloro che intendono la paternità come capacità di farsi ascoltare (40%); in questo caso, pur essendo il legame con il bambino di natura prescrittiva, affiora una dimensione relazionale, ben esplicitata dal riferimento all’ascolto, che presuppone comunque una qualche forma di comunicazione simmetrica. Infine, occorre considerare che circa un quinto degli intervistati (21%) sostiene che il rapporto padre-figlio sia basato sulla complicità, ponendo maggiormente in rilievo l’aspetto affettivo.

I figli nella coppia. Per il 75% degli uomini italiani la famiglia è incentrata sul legame tra genitori e figli (“l’insieme di genitori e figli”). Vi è anche, però, una quota consistente di intervistati che considerano la coppia come il perno centrale del nucleo familiare, al quale si aggiungono i figli (17%). Questo vale in particolare per i più giovani e per chi non ha ancora figli. Residuale è invece la posizione di chi propende per la versione individualizzata della famiglia (“la somma di singoli componenti: 7%). Gli uomini italiani continuano, quindi, ad identificarsi con un modello familiare basato sulla genitorialità, e sono convinti che sia necessario esercitare un controllo costante sui figli: il 70%, infatti, ritiene che “In qualsiasi circostanza: i figli vanno sempre portati con sé”. Una convinzione che non sfocia, però, nella ricerca di una strategia educativa. Solo un terzo degli intervistati infatti, crede giusto affrontare la genitorialità interrogandosi preliminarmente su una questione fondamentale qual è, appunto, l’educazione da dare ai figli (32%). Una minoranza si preoccupa degli aspetti pratici legati all’arrivo del nascituro (16%). Ma quasi la metà del campione (49%) ritiene, invece, che “tutto viene da sé”, non è necessario accordarsi su niente in particolare prima di avere un figlio. Una “spensieratezza” che forse si appoggia sulla tendenza radicata a delegare alle donne il lavoro di cura familiare.