Giustizia
Fermare i combattimenti tra cani si può. Il ruolo di educazione e volontari
Presentata la ricerca elaborata con il progetto “Io non combatto”, promosso da Human World for Animals e Fondazione Cave Canem. Capire l’origine del fenomeno e analizzare gli aspetti psicologici dei dogfighter serve a contrastare questa piaga. Per spezzare la catena di violenze serve sia un argine culturale sia una collaborazione tra istituzioni e associazioni

La piaga dei combattimenti clandestini tra animali non si è ancora estinta. È di poche settimane fa il salvataggio di quattro cani che erano costretti a combattere (ne abbiamo scritto qui) e che ora sono affidati alla Fondazione Cave Canem che si occupa del loro recupero comportamentale.
Ma cosa spinge le persone, molto spesso legate alla criminalità organizzata, a promuovere, partecipare o allevare gli animali in vista di combattimenti che oltre a provocare sofferenze negli stessi cani a rappresentare un rischio per la sicurezza pubblica?
Il progetto Io non combatto
A rispondere a questi e altri interrogativi una ricerca elaborata nell’ambito del progetto Io non combatto e che è stata promossa da Humane World for Animals e Fondazione Cave Canem. I risultati della ricerca realizzata da Carolina Solomoni e Angela Maria Panzini, borsiste del progetto sono stati pubblicati sulla rivista Sicurezza e Giustizia, diretta da Michele Lippiello.
Lo studio che analizza il fenomeno dei combattimenti tra cani da un punto di vista giuridico, sociale e psicologico parte dalle origini per arrivare alla sua diffusione attuale, andando anche ad analizzare i profili dei dogfighter, i collegamenti con la criminalità organizzata e le problematiche legate a pene e rieducazione di quanti favoriscono i combattimenti e maltrattano gli animali.
Combattimenti animali, dagli etruschi a oggi
La ricerca mostra come il fenomeno dei combattimenti tra cani abbia origini remote e se ne trovano traccia già all’epoca degli etruschi e degli antichi romani negli spettacoli circensi. Le studiose ricordano anche l’utilizzo dei cani nelle guerre antiche, ma anche nelle campagne napoleoniche.
Nel Regno Unito, il periodo di massima diffusione dei combattimenti tra animali è individuato tra il 1600 e il 1800, prima della loro abolizione per mano del Cruelty to Animals Act nel 1835» si ricorda ancora nell’articolo su Sicurezza e giustizia. L’abolizione dei combattimenti è ormai generalizzata, ricordano ancora Solomoni e Panzini nella loro ricerca anche se il fenomeno perdura a livello clandestino e illegale anche nel nostro Paese, legandosi alla criminalità organizzata.
Prevenzione, educazione e recupero
In occasione della presentazione della ricerca “Io non combatto”, Martina Pluda, presidente per l’Italia di Humane World for Animal ha ricordato come il progetto sia nato con «l’ambizione di proporre un modello multidisciplinare, capace di affrontare in maniera sistemica il fenomeno dei combattimenti tra animali». Ma anche che per l’organizzazione «la prevenzione debba camminare di pari passo con l’educazione e con il recupero, per questo le nostre azioni si articolano su più livelli e coinvolgono attori diversi».

La ricerca è stata presentata alla Sala Nassirya del Senato nel corso di una conferenza che per Federica Faiella, presidente della Fondazione Cave Canem ha rappresentato «un momento di grande rilevanza istituzionale per ribadire con forza l’urgenza di un’azione integrata contro il fenomeno criminale dei combattimenti tra animali. Un fenomeno radicato, capillare, che attraversa confini nazionali e internazionali e che richiede, proprio per la sua complessità, risposte trasversali e sistemiche».
Maltrattamento, un campanello d’allarme
Del resto il progetto Io non combatte nasce proprio per mettere in campo un approccio trasversale e integrato. Non basta denunciare i casi, occorre anche approfondire il profilo psicologico dei dogfighter, i loro collegamenti con la criminalità e le possibilità rieducative.
Nelle due puntate dedicate alla ricerca e pubblicate da Sicurezza e giustizia, si discutono infatti anche le misure legali per contrastare il fenomeno e si formulano ipotesi sulle modalità di rieducazione. Si riportano inoltre casi statunitensi di programmi rieducativi basati sull’approccio AniCare, ricordando altresì come gli episodi di maltrattamento verso gli animali siano campanelli d’allarme legati a forme di disagio di varia natura.
Il contrasto al fenomeno è anche culturale
Ma cosa fare adesso? Pluda da parte sua richiama in primo luogo «la formazione delle Forze di polizia, perché il contrasto a questi crimini richiede competenze specifiche, aggiornate e condivise. Ma lavoriamo anche sul piano culturale e sociale, attraverso campagne di sensibilizzazione rivolte alla cittadinanza, affinché cresca la consapevolezza collettiva su ciò che si cela dietro queste pratiche crudeli e illegali».
Il recupero comportamentale dei cani
Faiella ricorda che: «La battaglia contro i combattimenti del team Io non Combatto vede anche un fronte operativo che va dalla collaborazione tecnico-giuridica con forze di polizia e magistratura, all’acquisizione della custodia giudiziaria degli animali sequestrati, fino alla presa in carico dei percorsi di recupero comportamentale, con l’obiettivo, ove possibile, del loro reinserimento in famiglia. Ciò grazie al team di professionisti specializzati nel recupero di cani interessati da alterazioni comportamentali di rilievo coordinati da Mirko Zuccari».

Fondamentale quindi si rivela la necessità di interrompere la catena della violenza con la consapevolezza che, continua Faiella «contrastare i combattimenti tra animali significa spezzare un circuito criminale violento, ma significa anche affermare un principio di civiltà: la tutela degli esseri viventi più fragili è una misura della qualità democratica di un Paese».
Tra le carenze della nuova normativa in difesa degli animali si è evidenziata la mancanza di fondi per i programmi di riabilitazione dei cani da combattimento che resta completamente a carico delle associazioni che si preoccupano del benessere animale.
In apertura un cane da combattimento in gabbia – tutte le immagini da ufficio stampa
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