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L’integrazione fra locale e globale è la soluzione proposta anche dal Cai per dare nuova vita alla montagna. Un ottimo esempio, per Salsa, è la filiera corta per i frutti sottobosco delle valli cuneesi: negli anni 50 Nuto Revelli lo considerava il mondo dei vinti, «oggi è un modello».
Rifugi-vetrina
Moltissimi rifugi di mezza montagna non possono più essere pensati come basi alpinistiche, anche perché ci si arriva in macchina. La proposta del Cai è di trasformarli in presidi culturali del territorio, con stage, convegni, vetrina dei prodotti tipici, momenti di vacanza attiva.
Dopo Copenhagen
Paolo Rumiz, giornalista e iscritto al Cai, per l’ultimo convegno ha lanciato un accorato allarme per l’ambiente: «Tutto il resto sono quisquilie». Il presidente Salsa risponde così: «Nel Medio Evo il riscaldamento ha portato alla civilizzazione delle Alpi, con insediamenti sopra i 1500 metri. Anche oggi il cambiamento può essere piegato a favore della rinascita della montagna: dobbiamo stare in allerta, ma anche fuggire la cultura della resa».
315mila sentinelle
Tanti sono i soci del Cai, di cui molti giovani. Il loro compito? Monitorare il territorio, presidiarlo, «perché è ovvio che l’ente pubblico non può monitorare a distanza». E far capire che investire sulla montagna «non è assistenzialismo delle minoranze, ma una salvaguradia di cui beneficiano tutti».
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