Cultura

Filippine: l’appello dei missionari del Pime per padre Bossi

Il missionario italiano è stato rapito il 10 giugno scorso. Da allora le indagini si stanno arenando

di Redazione

Un accorato appello affinche’ si rompa il silenzio intorno alla sorte di padre Giancarlo Bossi e per la sua liberazione e’ stato lanciato oggi dai missionari del Pime, il Pontificio istituto missioni estere, nelle Filippine. Il testo si chiede chi siano i mandanti, quali forze si muovano dietro quanto sta avvenendo e quali interessi di natura politica s’intreccino con la vicenda del sequestro. Il titolo del testo e’ ”Noi speriamo ancora”. ”Giancarlo Bossi, missionario del Pime – comincia il testo dell’appello – e’ stato rapito lo scorso 10 giugno nella parrocchia di Payao, Prelatura di Ipil, provincia di Zamboanga Sibugay. Ad oggi, 21 giugno (ora locale, ndr), non vi sono stati contatti con i rapitori o con qualcuno che abbia potuto verificare la sua condizione”. ”Da quello che abbiamo saputo fino ad ora -prosegue il messaggio dei confratelli del missionario rapito- i rapitori ed i mandanti non sono stati identificati con chiarezza, anche se tutto fa pensare ad un gruppo ben organizzato, che ha potuto usare una barca potente ed e’ ben armato e ben equipaggiato. La cattura di Padre Giancarlo e’ stata pianificata con attenzione”. ”Chi sono i rapitori e chi i mandanti? Chi c’e’ dietro questo dramma? Perche’ non dichiarano i loro scopi?”, si chiedono i missionari del Pime, che piu’ avanti affermano: ”Il governo dice di star utilizzando tutte le risorse a sua disposizione per cercare il rapito. Il Fronte islamico di liberazione Moro ha dichiarato a sua volta di aver accesso a diversi gruppi armati dell’area. I leader religiosi ed i fedeli di ogni credo pregano e si dichiarano solidali. Perche’ questa agonia dell’attesa? Quali interessi sono coinvolti in questa storia? Noi possiamo solo chiedere compassione”.

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