Non profit
Filippo Bubbico (Pd): 600 coop di professionisti sono ancora troppo poche
Il relatore del decreto Liberalizzazioni
di Redazione
È stato il tessitore del Pd per il decreto sulle Liberalizzazioni al Senato. Il suo lavoro come relatore del provvedimento, al fianco della collega senatrice Simona Vicari del Pdl, è stato apprezzato da molti. Filippo Bubbico, ex presidente della Regione Basilicata, è anche architetto. Un professionista, quindi. Eppure proprio sulle professioni Bubbico non nasconde una certa insoddisfazione. «Il provvedimento che approda alla Camera mantiene alcune incertezze sulle professioni e sull’apertura del mercato alle nuove generazioni: sono prevalse le posizioni corporative», dice.
Per esempio tenere presente le esperienze delle cooperative di professionisti poteva essere una strada?
Certo, l’associazione in cooperativa per i professionisti può essere molto utile per migliorare le condizioni di lavoro, soprattutto per i giovani. È uno strumento che permette di mettere insieme competenze diverse ma complementari e allo stesso tempo permette al singolo di mantenere la propria specificità.
Ha in mente degli esempi concreti?
Penso proprio al mio campo. Le prime che mi vengono in mente sono proprio le cooperative tra architetti e ingegneri, professioni diverse ma che spesso lavorano fianco a fianco. Ma è solo un esempio, è uno strumento estremamente duttile, che può essere applicato anche in altri àmbiti.
Di fatto, al momento, le cooperative tra professionisti in Italia sono circa 600. Come giudica questo dato?
Date le potenzialità, sono sicuramente poche. Se è così dovremmo chiederci perché fanno fatica a decollare. È un punto su cui anche la politica deve lavorare, bisogna far sì che imprese di questo tipo non facciano fatica ad affermarsi. Ma bisogna lavorare anche sulla diffusione e sulla conoscenza di queste opportunità, valorizzando le molte esperienze positive che già esistono.
Uno dei punti discussi nel dl Liberalizzazioni verteva sulla creazione delle società tra professionisti aperte al capitale esterno. In questo caso si è tenuto conto del modello cooperativo?
Alla fine siamo approdati ad una soluzione vicina a quella su cui premevano gli ordini professionali. I soci esterni potranno avere una quota massima del 33%, così almeno i due terzi del capitale societario rimangono in mano a iscritti all’Albo.