Non profit

focus gioco d’azzardo

di Redazione

In Italia il business del gioco potrebbe arrivare a fruttare circa 60 miliardi di euro solo nel 2010. Con gli introiti aumenta anche il rischio di dipendenza. Si stima che i giocatori patologici siano 120mila. Se ne è parlato a Riva del Garda durante i lavori del IV congresso nazionale Federserd – Federazione italiana degli operatori dei dipartimenti e dei servizi delle dipendenze. «I dati sono frutto di ricerche epidemiologiche di sorveglianza dell’Istituto di fisiologia del Cnr di Pisa e delle rilevazioni prodotte dall’Università di Roma La Sapienza» spiega Maurizio Fea del Federsed, psichiatra responsabile del settore formazione e general manager di GiocaResponsabile.it. «È attivo da dieci mesi. Dai contatti e dalle domande di aiuto ricevute, che per il 50% provengono dai familiari, abbiamo registrato duemila casi. Ma è un dato parziale e sottostimato», avverte Fea.
Putroppo numeri certi nazionali provenienti dai servizi sul territorio non esistono: «Sono 200 su 550 i servizi che si occupano della patologia gioco, che oltretutto non è riconosciuta dai Lea e quindi non rientra nelle elaborazione dei dati», continua Fea. Chi soffre di gambling patologico non è estraneo all’emergenza degli ultimi anni: la polidipendenza. «Studi e ricerche attendibili rilevano che nel 40% dei giocatori d’azzardo è presenta la dipendenza da alcol, mentre il 40/50% è anche dipendente dalla nicotina, poi ci sono anche altre sostanze come la cocaina», spiega lo psichiatra. Da non trascurare poi il fatto che questo è un problema che non colpisce solo il giocatore, ma «anche la famiglia e il giro degli amici, almeno una decina di persone». Sulle entrate garantite dalla tassazione del gioco d’azzardo, l’attuale normativa non fissa inoltre nessuna percentuale da destinare alla prevenzione o trattamento della dipendenza. «Ci stiamo muovendo a livello europeo per il riconoscimento della patologia e in Italia stiamo sollecitando i Monopoli perché destinino una quota delle risorse alla prevenzione e ai sistemi di cura» conclude.