Come ha documentato Sergio Bocconi (Corriere Economia, 14 aprile 2008, pag. 23 «I fondi pensione finiscono al tappeto»), dopo un anno dal rilancio dei Fondi pensione privati, le somme che sono state riversate nei nuovi strumenti hanno subìto in genere una decurtazione, e l’impiego è risultato nettamente meno conveniente rispetto al tradizionale fondo Tfr aziendale. Chi è “rimasto a casa” è risultato premiato.
Sorpresa? No, per chi, come il sottoscritto, aveva sin dal 2007 messo in guardia rispetto a due punti deboli (per i lavoratori) della riforma e della campagna di informazione che l’aveva assistita. Punti deboli che non sono stati corretti.
Il primo rappresenta una palese iniquità: una facoltà di ripensamento concessa al lavoratore in una sola direzione. Chi preferisce tenere il Tfr in azienda può successivamente optare per conferirlo a un fondo pensione. Non vale il contrario. Dunque, chi sia deluso dei risultati della gestione dei fondi, non può uscirne per ritornare al fondo aziendale!
Le associazioni di difesa hanno dunque ottimi motivi per chiedere una urgente modifica legislativa, che introduca il “diritto al ritorno” nel Tfr aziendale, nonché il varo di una seria e non reticente campagna di informazione dei lavoratori.
Una ulteriore opportuna richiesta, da rivolgere anche alle banche ed assicurazioni che hanno istituito e gestiscono i fondi pensione, è quella di offrire forme di garanzia assicurativa sul capitale e un pur ridotto saggio di interesse.
Solo una restituita diffusa serenità dei lavoratori potrà infatti conferire duratura solidità al “pilastro”, oggi precocemente corroso, della previdenza complementare.
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