Del Lambro in questo numero ci occupiamo grazie a un grande esperto di “acque lombarde” come Pietro Lembi (leggetelo a pagina 9). Ma anche le parole del grande Carlo Emilio Gadda, tratte dall’Adalgisa, servono a capire la dolce fragilità di questo fiume.
Oh confortevole aura, salubre terra e clima dell’Olona e del Lambro! oh, Sèveso! Oh, pioppi! Oh! plasma germinativo della gente! Dove tu, per quanto minchione te tu sia, o anzi proprio e precisamente per quello, che ci hai nella testa un bel turàcciolo, te tu ti senti tenuto a galla come un papa senza neanche darti pena nuotare: da un clima unto e fraterno, da una pégola vivificatrice. Come una sagace broda: o lardo sfriggente, che si strugga nelle opere, e nella padella de’ civili soccorsi. Come feeders (barre alimentatrici) da cui ogni derivato circuito ripeta il flusso metallopermeante dell’elettrico. [?] Oh, vada, vada la nera Olona delle tintorie gallaratesi a intrefolarsi nel fiotto decumano della Vettabbia, cui rugginosi pitali decorano, alle due sponde, d’un fiore: il verde e tenero fiore del basilico. Vada il Sèveso color caffè a scolarsi in trincera, nella fossa buia e profonda del Redefossus, più profonda del riposo dei morti: il ri-scavato, il re-de’-fossi. Vada, deceda lungo il settembre l’elegia lenta del Lambro, con guardia de’ suoi pioppi su specchianti ambagi, verso i pascoli rintronati di Marignano. Qui è il groppo, il nodo, qui è il plasma valido e vitale della gente, come un coàgulo di peccati.
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