Medio Oriente

Gaza, il doppio silenzio del governo italiano e delle piazze arabe

Avviata, su iniziativa olandese, la procedura di revisione dell'accordo quadro Ue-Israele su relazioni politiche, economiche, commerciali e culturali. Il processo potrebbe durare settimane mentre a Gaza l'esercito israeliano ha già distrutto tutto quello che poteva ammazzando quasi 60mila persone. Fra i voti contrari alla proposta olandese spicca quello dell'Italia, nonostante l'ampio sostegno dell'opinione pubblica del nostro paese alla causa palestinese. E sul fronte arabo si muove poco o nulla

di Paolo Bergamaschi

Caspar Weldkamp è un nome che dice poco alla stragrande maggioranza dei cittadini europei. Sarebbe rimasto nell’anonimato o, più semplicemente, solo uno dei 27 ministri degli esteri che periodicamente si riuniscono a Bruxelles, spesso in modo inconcludente, per gestire le relazioni internazionali dell’Unione Europea.

Anche se è uno dei sei paesi fondatori l’Olanda non passa per protagonista della scena politica del vecchio continente. Pur rappresentando un governo di destra, peraltro collassato in questi giorni, nella sua veste di ministro degli esteri Caspar Weldkamp, all’inizio dello scorso mese, ha preso carta e penna chiedendo a Kaja Kallas, l’Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza Comune dell’Ue, di inserire il conflitto di Gaza all’ordine del giorno della riunione del Consiglio Affari Esteri del 20 maggio. Nella sua lettera Veldkamp avvertiva che l’Ue deve rivedere urgentemente il suo Accordo di Associazione con Israele per assicurarsi che sia in linea con le norme sul rispetto del diritto umanitario. “La situazione di Gaza ci obbliga ad agire“, affermava il ministro olandese. Parole ovvie, scontate e abbondantemente tardive, si direbbe, ma non per una diplomazia europea prigioniera dei suoi complicati meccanismi di voto e imbalsamata, per senso di colpa e rimorso storico, su posizioni di difesa ad oltranza di Tel Aviv.

È bastato il cambiamento di posizione dell’Olanda per ribaltare lo stucchevole e indegno equilibrio europeo. Sono stati 17 i paesi che hanno sostenuto l’iniziativa olandese, un numero sufficiente per fare scattare la procedura di revisione dell’accordo quadro che regola le relazioni politiche, economiche, commerciali e culturali fra Ue e Israele facendo leva sull’articolo 2 del trattato che richiama espressamente le parti al rispetto dei diritti umani e della democrazia. È bene non farsi troppe illusioni, tuttavia. Il processo potrebbe durare settimane mentre a Gaza l’esercito israeliano ha già distrutto tutto quello che poteva distruggere ammazzando quasi 60mila persone, in buona parte donne e bambini, in attesa della seconda fase del piano ovvero la rioccupazione della striscia con la deportazione della popolazione. Fra i voti contrari alla proposta olandese spicca quello, vergognoso, dell’Italia nonostante la mobilitazione massiccia nelle piazze in solidarietà con la gente di Gaza e l’ampio sostegno dell’opinione pubblica del nostro paese alla causa palestinese.

Per mesi il governo di Netanyahu ha interpretato l’ambiguità del comportamento europeo come una licenza di violazione del diritto internazionale con assicurazione di impunità; per anni la diplomazia israeliana ha coperto la politica di occupazione illegale dei territori palestinesi imponendo alla comunità internazionale due equazioni fasulle ovvero che ogni legittima critica all’azione di Israele equivale ad un atto di antisemitismo e che i palestinesi sono tutti terroristi e come tali meritano di essere trattati e annientati.

Ma se qualcosa si muove in Europa poco o nulla si muove sul fronte arabo. Va sottolineato che la Palestina è uno dei 22 membri della Lega Araba. Piazze piene in Italia per Gaza, piazze non altrettanto piene nelle capitali dei paesi arabi. Chi si aspettava una svolta durante la visita a metà maggio di Donald Trump in Arabia Saudita è rimasto deluso. Anche se la diplomazia di Riyad si muove notoriamente dietro le quinte il dramma palestinese non ha turbato più di tanto i sauditi concentrati solo sulla conclusione di lucrosi contratti commerciali con la controparte americana alla faccia della presunta fratellanza araba.

Intanto in Cisgiordania non si arresta la penetrazione dei coloni con l’annessione strisciante di territorio e la conseguente espulsione della popolazione palestinese. Nei giorni scorsi, annunciando la creazione di 22 nuovi insediamenti, il ministro della difesa israeliano Israel Katz ha promesso la costruzione di uno stato ebraico di Israele nei territori occupati. E l’ambasciatore americano a Tel Aviv Mike Huckabee, replicando a Emmanuel Macron che ha ventilato la possibilità di riconoscere lo stato di Palestina da parte di Parigi, ha dichiarato irridente che non esiste alcuna occupazione israeliana e che se la Francia vuole può mettere a disposizione “un pezzo della sua riviera” per ospitare i palestinesi. Saranno proprio la Francia e l’Arabia Saudita a presiedere la “Conferenza internazionale per la soluzione pacifica della questione palestinese e l’attuazione della soluzione dei due Stati” convocata dall’Assemblea Generale dell’Onu che si terrà a New York il prossimo 17 giugno. Probabile che l’evento si riduca all’ennesimo show di impotenza della comunità internazionale. Dobbiamo, purtroppo, amaramente constatare che siamo giunti al punto di non ritorno.

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