Medio Oriente

Gaza, l’Ue tra solidarietà di facciata e incapacità di rispondere ai crimini del governo israeliano

Mentre Meloni parla di un piano di “ricostruzione credibile che deve includere la prospettiva dei due Stati", a Gaza l'Onu denuncia un "nuovo orrore" per i bombardamenti israeliani e il rischio deportazioni. L'operazione israeliana "Carri di Gedeone" precede la visita di Trump in Arabia Saudita, e le mosse Usa destano preoccupazione per un'annessione della Cisgiordania. Degli attori geopolitici l’Ue è senz'altro quello più debole ma non per questo meno colpevole

di Paolo Bergamaschi

“Appoggiamo il lavoro che i Paesi arabi stanno portando avanti. C’è un piano di ricostruzione di Gaza credibile, che a nostro avviso deve includere anche la prospettiva dei due Stati”, si è limitata a dire Giorgia Meloni durante il question time questa settimana al Senato mentre l’esercito israeliano, nel lanciare l’operazione “Carri di Gedeone”, occupava di nuovo la striscia con l’intenzione di restarci in permanenza dopo averla messa a ferro e a fuoco dislocando la popolazione in campi di filtraggio e centri di smistamento con l’obiettivo ultimo della definitiva deportazione. Di ben altro tono sono state le parole usate dalle Nazioni Unite nel comunicato stampa uscito poche ore dopo l’intervento della Presidente del Consiglio che parla testualmente di “nuovo orrore a Gaza” per il doppio attacco aereo israeliano alle pensiline di una scuola che ospitava 2mila sfollati ammazzando altre trenta persone oltre alle 55mila che hanno già perso la vita. 

Secondo il servizio satellitare delle Nazioni Unite, si legge nel testo, il 95,4% delle scuole di Gaza ha subito danni dall’inizio della guerra sottolineando come delle 564 scuole dell’enclave, 501 avranno bisogno di una ricostruzione completa o di importanti lavori di riabilitazione per essere di nuovo funzionali. Non c’è più umanità a Gaza, e non c’è più umanità fintanto che il mondo continua a guardare giorno dopo giorno mentre le famiglie vengono bombardate, bruciate vive e affamate“, ha affermato l’Unrwa, l’agenzia dell’Onu che assiste i profughi palestinesi messa recentemente al bando in Israele, dopo l’ultimo attacco. Anche il capo delle Nazioni Unite per i diritti umani Volker Türk mercoledì ha condannato i piani di Israele di trasferire con la forza la popolazione di Gaza alimentando la preoccupazione che la vera intenzione dello stato ebraico sia quella di rendere la vita dei palestinesi “sempre più incompatibile con la loro continua esistenza a Gaza”.

“Non c’è motivo di credere che il raddoppio delle strategie militari, che, per un anno e otto mesi, non hanno portato a una risoluzione duratura, compreso il rilascio di tutti gli ostaggi, ora avrà successo”, ha insistito l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani. Tutti sono pienamente consapevoli che il tempo delle parole è finito da un pezzo. Dei tre grandi attori geopolitici che si muovono sulla scena mediorientale l’Unione europea è senz’altro quello più debole ma non per questo meno colpevole anche se può vantare, come nota di merito, di essere il più importante donatore di aiuti nella regione.

Nei giorni scorsi Kaja Kallas, l’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune dell’Ue, nell’incontrare il collega dell’Autorità Nazionale Palestinese, forse per lavarsi la coscienza, ha espresso in una nota “la sua solidarietà al popolo palestinese che continua a essere pesantemente colpito dagli eventi che si stanno verificando sia a Gaza che in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est” ribadendo l’opposizione europea alla politica di insediamento di Israele, ricordando le sanzioni contro i coloni violenti e rilanciando l’opzione della coesistenza di due stati. Peccato che a Netanyahu della soluzione dei due stati per due popoli importi un fico secco. Così come importa poco o nulla anche agli americani che, in base a voci insistenti, stanno per chiudere l’Ufficio per gli Affari Palestinesi a Gerusalemme che all’interno dell’ambasciata Usa tiene una linea di comunicazione diretta con il Dipartimento di Stato facendo scattare l’allarme che la prossima mossa di Washington sia quella di sostenere l’annessione della Cisgiordania da parte di Israele. Quello che preoccupa di più, tuttavia, è che la nuova devastante operazione israeliana avvenga solo pochi giorni prima della visita di Donald Trump in Arabia Saudita, il paese simbolicamente più importante del mondo arabo. Gesto di sfida, atto di provocazione o mossa calcolata? Drammaticamente, forse, la pietra tombale sulla questione palestinese. 

PS Per chi non fosse mai stato nei territori occupati e volesse rendersi conto delle condizioni sub-umane nelle quali sono condannati a vivere i palestinesi anche in Cisgiordania consiglio vivamente di guardare il lungometraggio “No other land“, fresco vincitore del premio Oscar nella categoria documentari.          

AP Photo/Abdel Kareem Hana/LaPresse

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