Cultura
Gianni Geraci: vorrei un giorno raccontarti di me
Sono un cattolico normale e un omosessuale che ha scelto di non nascondersi. Vorrei chiederti una parola che ci ricordi che Cristo è morto anche per noi
di Redazione
Debbo confessarti che, quando mi hanno chiesto di scriverti questa lettera, sono andato un po? in confusione. Io non ho mai scritto a un Papa e non so nemmeno se posso dargli del tu, poi ho pensato che, quando prego, non ho problemi a dare del tu a Gesù e che quindi non debbo aver problemi a dare del tu anche al suo vicario.
Poi è arrivato il momento di decidere cosa scriverti. E qui sono cominciati i guai. Io, infatti, non sono un esperto di teologia o un professionista della pastorale. Sono uno di quei tanti cattolici che, quando la sera fanno l?esame di coscienza, si accorgono di aver dimenticato troppo spesso che il sorriso di Dio li ha accompagnati per tutta la giornata, senza abbandonarli mai.
So che mi hanno chiesto di scriverti questa lettera perché, oltre a essere un cattolico ?normale?, sono un omosessuale che ha scelto di non nascondere la propria omosessualità e di viverla all?interno della Chiesa, incurante degli sguardi di disapprovazione con cui molti cristiani ?per bene? seguono questo sforzo. E così ho deciso di parlarti delle difficoltà che spesso gli omosessuali credenti incontrano in quel cammino di avvicinamento alla perfezione cristiana che la Chiesa propone.
Devi pensare che queste difficoltà sono davvero tante. Te lo posso dire perché le ho sperimentate sulla mia pelle: rinunciando alle mie aspirazioni di carriera universitaria per pagare chi mi proponeva terapie riparative dell?orientamento sessuale che ho scoperto non aver nessun fondamento scientifico; invocando improbabili guarigioni che, probabilmente, non rientravano nel piano di Dio; nascondendo e rimuovendo la mia omosessualità nella convinzione sbagliata che, di certi problemi, è meglio non parlare. Ho attraversato tempi duri, in cui non capivo che la prima cosa che dobbiamo fare, per intraprendere un serio cammino di conversione, è quella di riconciliarci con la nostra biografia, ringraziando il Signore per quello che siamo, perché è nella concretezza della nostra esperienza che possiamo sperimentare la sua compagnia, il suo amore. Ecco perché mi piacerebbe poter raccontare anche a te quello che, in questi anni, ho confidato a Lui nei momenti di intimità che la sua presenza nell?Eucarestia mi fatto vivere. Per farti capire quello che raramente un eterosessuale coglie quando raccoglie le confidenze di una persona omosessuale, per raccontarti le storie dei compagni di strada: persone che non ce l?hanno fatta a sopportare un clima in cui la Chiesa viene vissuta come matrigna e che hanno deciso di lasciarla. Per confessarti le mie debolezze e per chiedere a te una parola di speranza.
Perché è proprio di una parola speranza che noi omosessuali abbiamo bisogno, una parola che ci ricordi che Cristo è morto anche per noi, che ci dica che la Chiesa non ci considera nemici o provocatori, ma figli e amici da accogliere, aiutare e consigliare, nel delicato percorso di scoperta della loro vita affettiva. È quello che Gesù ha fatto quando ha incontrato la Samaritana: sapendo che la diffidenza della donna le avrebbe impedito di avvicinarlo non esita ad attaccare discorso e, pian piano, la aiuta a riconoscere e ad ammettere la verità («Hai detto bene, non ho marito»), quella stessa verità che molto spesso le persone omosessuali nascondono con terrore. E alla fine si rivela a lei, trasformandola in una testimone della sua capacità di arrivare al cuore degli uomini.
Ecco, caro Papa Benedetto, mi piacerebbe tanto che anche tu riuscissi ad aiutare i tanti omosessuali che la paura ha bloccato nell?ipocrisia, a iniziare quel cammino che porta alla scoperta dell?amore con cui Gesù ci ama, un amore di cui ti auguro di essere un testimone fedele. Sappi che pregherò tanto per te.
Gianni Geraci