
Arriva dalla chiesa il grido della mamma del giovane che tragicamente si è tolto la vita, davanti alla bara del figlio: non c'è vergogna se non nel silenzio, uniamoci facciamo rete!
Questo grido esorta tutti noi a lasciarci interrogare dalla vera sofferenza, a metterci in gioco seriamente, a non cedere a chi banalizzando ogni cosa vuol far credere che ‘andare sempre oltre è normale’.
Quanto è più comodo trincerarsi dietro questa affermazione per spiegare i comportamenti a cui non sappiamo dare risposta, la ricerca di senso dei nostri giovani che noi adulti per primi non siamo in grado di indirizzare e guidare. Farsi domande è faticoso, implica la necessità di cercare una risposta alternativa, che spesso è scomoda e difficile da sostenere proprio da chi dovrebbe per primo proporla. Trovare facili colpevoli nella società, nelle istituzioni, nell’adolescenza, nelle compagnie è la soluzione più semplice, più comoda, più popolare…
E allora ecco pronti i leoni della tastiera a scrivere, a commentare, a giudicare dietro una tragedia e un dolore. Eccoli i tuttologi, esperti lettori del disagio, di un malessere che si fatica a riconoscere come tale, figuriamoci a leggere e interpretare.
Ecco gli sciacalli che non si fanno scrupoli ad utilizzare la disgrazia più grande che possa accadere per sostenere e far pubblicità alle proprie idee.
Attenzione ai non detti o alle mancate prese di posizione, attenzione al giustificazionismo estremo per cui tutto diventa normale e fattibile, spesso sono figli di uno scontro che si vuole evitare, di un rifiuto nel prendere posizione, di un non accettare il fatto che ‘educare’ richiede fatica.
Davanti a comportamenti o atteggiamenti trasgressivi non intervenire significa per i giovani sdoganare il comportamento.
Troppo spesso la tendenza è quella di giustificare o sottovalutare atteggiamenti ed esigenze, troppo spesso i figli sono iniziati alla trasgressione dagli stessi genitori che, in nome di una malata libertà, ricercano di abolire le differenze tra le generazioni. Solo quando gli argini vengono rotti e mettere regole diventa impossibile ci si guarda preoccupati allo specchio rendendosi conto di aver fallito il proprio compito, imprigionati dalla ‘libertà’ tanto osannata e troppo concessa.
Rendiamocene conto una volta per tutte: il problema non è la droga ma il disagio. La droga è solo la punta dell’iceberg
La stessa mamma ha continuato insistendo sulla straordinarietà presente nella vita dei giovani ed ha esortato i ragazzi presenti a non farsela rubare, a non credere ai falsi venditori di facili speranze ed effimere soddisfazioni.
Con il suo dolore e la sua estrema lucidità ha lanciato un segnale importante e profondo, nel momento di maggior strazio e sofferenza. Nessun giudizio, nessuna accusa, nessuna colpevolizzazione, solo un chiaro messaggio rivolto a tutti noi, perché ognuno si prenda le proprie responsabilità smettendo di colpevolizzare terzi.
Si perde poco tempo a stare con i ragazzi, come possiamo pensare di capire i nostri figli?
Scontrarsi con la solitudine dei giovani, che rompe gli argini e interroga le coscienze, invita a pensare e a riflettere senza lasciar spazio per il giudizio.
È doveroso interrogarci prima di tutto sul nostro vivere, sul nostro essere accanto ai giovani, su quanto sentono e percepiscono dei messaggi che noi per primi passiamo, su che cosa significa realmente incontrarli. Perché nell’incontro e nel nostro stare con loro non conta ciò che si dà ma quanto amore si mette nel dare e soprattutto quanto loro percepiscono e sentono questo amore.
Solo ponendoci in un’ottica di cambiamento potremo chiedere a loro di cambiare, solo ricercando la vera fatica dello stare insieme potremo permettere a loro di assaporarne l’importanza, solo dando loro chiari messaggi e precisi confini potremo regalare loro la vera libertà.
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