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Giustizia, si parte fra le proteste
La riforma varata dal CdM. Le reazioni, i distinguo e il muro contro muro con la magistratura
di Redazione

Al via la riforma della giustizia. L’opposizione regisce duramente. Con qualche distinguo Udc e Fli non si dicono pregiudizialmente contrari, ma avvertono: “per chi è fatta questa riforma?”.
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“Via libera del governo alla riforma”, apre così il CORRIERE DELLA SERA di oggi. “Alcuni punti fermi” è invece il titolo dell’editoriale di Pierluigi Battista. L’invito a maggioranza e opposizione è di evitare di ricondurre tutto il dibattito alla persona di Berlusconi e quindi di entrare davvero nel merito delle cose. Per esempi «la separazione delle carriere fra giudici e pubblici ministeri non può essere un tabù per il centrosinistra, anche se a proporla è il governo Berlusconi» E ancora «Non è un tabù nemmeno la responsabilità civile dei giudici laddove sia ravvisabile un dolo nei loro comportamenti». Dal canto suo la maggioranza di governo «non può procedere a strappi, spallate, ultimatum», non «può pretendere di vendere un pacchetto preconfezionato senza ascoltare un’opposizione dialogante, i magistrati, gli avvocati e, naturalmente, i consigli saggi del Presidente della Repubblica». Il CORRIERE sente anche il procuratore generale di Torino Marcello Maddalena che dice “Sì ai criteri di priorità, ma sull’obbligatorietà testo equivoco”. Intanto mentre l’Anm pensa allo sciopero («Legge punitiva», tuona il presidente Luca Palamara), fra i democratici si apre il fronte dei contrari ai “no a priori”. Fioroni: riformare la giustizia è necessario. I veltroniani: ispiriamoci alla Bicamerale. A pag 6 infine la scheda completa delle modifiche alla Carta.
Già nell’apertura, si capisce la sintesi de LA REPUBBLICA – “Giustizia, la rivolta dei magistrati” – titolo corredato da un sommario interessante: “Berlusconi: con la riforma niente Mani Pulite, ma non serve ai miei processi”. I servizi all’interno sulla presentazione (con tanto di “prova della bilancia”) della riforma e sui retroscena. “La carta del Cavaliere per puntare al Quirinale «Così arriviamo al 2013 e poi mi gioco tutto»”: Francesco Bei e Liana Milella svelano quel che Berlusconi non direbbe in pubblico. «Con queste leggi sulla giustizia teniamo impegnato il Parlamento per due anni e arriviamo alla fine della legislatura. Poi ci giochiamo tutto alle urne». Fosse confermata, una prospettiva da statista molto interessato al Paese: «i nostri elettori cominciano a chiedersi perché parliamo sempre di riforma della giustizia e non la facciamo mai. Tra due anni non potremo più dire che è stata colpa di Fini». Per le reazioni, due pezzi. Uno dedicato all’Associazione magistrati che non esclude uno sciopero e parla di «riforma punitiva che mina l’autonomia e l’indipendenza della magistratura». «Non è un problema dei giudici»; spiega il presidente Palamara, «è un problema del Paese che deve decidere se vuole magistrati liberi di indagare su corruzione, stragi, ruberie, o se li vuole subordinare al potere politico». Il secondo è sui partiti: “È un attacco ai pm, inaccettabile”. Sono le parole di Bersani, cui fanno seguito quelle di D’Alema: «è difficile aprire qualsiasi discussione seria sulla giustizia se non è preceduta dalle dimissioni di Berlusconi». Sulle barricate anche Di Pietro (una riforma che «stravolge lo stato di diritto»). Più cauto Casini mentre Fli sottolinea con Bocchino le perplessità. Anche Dario Franceschini, capogruppo Pd, boccia la riforma: «siamo davanti a un’operazione di immagine pericolosa. Che punta solo a sollevare un polverone e ad alimentare l’immagine dei magistrati sovversivi nel momento in cui ripartono i processi contro il premier».
Strillo in prima sul SOLE 24 ORE per la riforma della giustizia, con servizi a pagina 8-9. Intervista ad Armando Spataro, procuratore aggiunto a Milano “Tecniche astute per aggirare la carta”: «Si mettono in campo solo slogan. Chi negherebbe che ci dev’essere un’effettiva parità tra accusa e difesa? Ma con questo slogan si dà per scontato che non ci sia. È grave, e non è vero. Ma molto di questa riforma è affidato a messaggi subliminali. (…) Ecco, allora, svelato l’arcano: la riforma serve a evitare inchieste come quelle di Mani pulite, cui il mondo intero ha guardato come modelli di efficacia investigativa e di indipendenza della magistratura. Valutino i cittadini se queste affermazioni sono condivisibili o no». Stefano Folli nel suo punto si occupa delle ricadute politiche “Nel ventaglio dei «no» il maggior vantaggio è di Vendola-Di Pietro”: «c’è una terza posizione, espressa dal polo centrista e da una minoranza del Pd (ad esempio Follini, ma non solo). È la tesi di chi non vuole sottrarsi al confronto di merito e chiede che anche l’opposizione sia in grado di mettere in campo proposte e idee. È il punto di vista di chi teme che un «no» troppo intransigente regali a Berlusconi quella fascia d’opinione pubblica sospettosa di una magistratura troppo invadente. Quindi un’opinione favorevole, quanto meno, alla separazione delle carriere e alla responsabilità civile dei magistrati.Ma c’è anche un’altra paura nei sostenitori di questa posizione. Essi vedono il rischio che il braccio di ferro sulla giustizia sposti gli assetti del centrosinistra e spinga il vertice del Pd più vicino a Di Pietro e Vendola. Non è un timore infondato. Non bisogna dimenticare che in giugno si voterà per il referendum sul legittimo impedimento. Una consultazione che diventerà – è inevitabile – un plebiscito su Berlusconi. Mesi di polemiche sulla giustizia sarebbero una potente spinta al raggiungimento del «quorum». E quindi alla vittoria degli intransigenti. Prospettiva a cui contribuisce lo stesso Berlusconi quando annuncia, forse senza rendersi conto del peso delle parole, che con l’attuale riforma vent’anni fa non ci sarebbe stato il fenomeno di Mani Pulite. Una «gaffe» o la lucida volontà di radicalizzare lo scontro?»
“Giustizia, riforma tra le proteste”, titola LA STAMPA. Il giornale torinese presenta una sintesi della riforma in sei punti a cura di Francesco Grignetti. «1. Separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri; 2. Un doppio Csm solo per le promozioni. Non adotterà più atti di indirizzo politico; 3. I poteri disciplinari saranno trasferiti dal Csm a una nuova Corte di disciplina; 4. L’azione penale rimarrà obbligatoria ma sarà il Parlamento a stabilire le priorità; 5. Impossibilità per i magistrati di presentare appello in secondo grado; 6. La responsabilità civile dei magistrati diventerà una norma costituzionale». Interessante l’intervista di Flavia Amabile a Marco Boato, già deputato dei Verdi. Titolo: “Copiata la mia bozza. Allora il Pds era d’accordo”. Ecco alcuni passaggi dell’intervista: «Domanda: I punti in comune sono molti, dunque. L’obbligatorietà dell’azione penale, ad esempio. “Certo. E’ giusto non lasciare alla discrezionalità un simile aspetto. Se c’è motivo bisogna aprire un provvedimento disciplinare e poi decidere se sia il caso di archiviare o di procedere. Ma non è il solo punto in comune. Alcune parti sono riprese per intero, come la parte sulla polizia giudiziaria. Altre lievemente modificate. Si prevede un’Alta Corte di Disciplina. Noi l’avevamo definita Corte di Giustizia perché aveva una funzione più ampia, comprendeva anche le competenze sui ricorsi amministrativi”» Quanto all’atteggiamento del Pd, Boato rivela: «Le rivelo una cosa che finora non è mai stata raccontata. Il responsabile giustizia di quello che allora era il Pds era Pietro Folena. Ci fu un forte scontro sulla composizione del Csm. Ad un certo punto Folena mi disse: se sosterrai un innalzamento della quota dei laici rispetto ai togati, a nome del partito dovrò dire che sono in disaccordo ma in realtà siamo favorevoli a che tu vada avanti». Interessante anche l’articolo di analisi politica di Amedeo La Mattina: «Dice Follini: “Lui fa il moderno e noi guardiani del passato. E’ lo schema che gli fa più comodo”. In effetti è lo schema che ha in testa il Cavaliere: lasciare al giovane delfino Alfano la gestione del confronto con l’opposizione; aprire una lunga campagna elettorale contro coloro che sono ancora aggrappati a quella parte jurassica della Costituzione».
«Via alla riforma della giustizia: Finisce l’era degli intoccabili», è il titolo a tutta pagina in prima de IL GIORNALE. Nel suo editoriale il direttore Alessandro Sallusti scrive: «Dopo diciotto anni di promesse non mantenute, ieri finalmente Pdl e Lega hanno rotto il tabù, iniziando un percorso che libererà il Paese dalla dittatura delle toghe». Sarebbe questo «il senso principale della riforma costituzionale della giustizia approvata ieri dal governo». Ora «non importa quanto ci vorrà, senza la prima pietra non si può arrivare mai al tetto. Sdoppiamento delle carriere per evitare che accusa e giudici facciano alleanza contro la difesa, responsabilità personale, meno discrezionalità nelle priorità delle inchieste sono i capisaldi della riforma». In questo non ci sarebbe «nulla di rivoluzionario, si tratta di norme e regole già in vigore con successo in tutti i Paesi democratici. E comunque nulla che possa anche lontanamente avvantaggiare il presidente Berlusconi nelle sue note vicende giudiziarie. Le opposizioni non hanno più alibi. Il ritornello delle leggi ad personam qui non funziona. Bersani e soci dovranno decidere se stare dalla parte della gente o continuare a tenere bordone alla casta degli intoccabili». All’interno la proposta di riforma viene illustrata nel dettaglio, sotto il titolo «Arriva la rivoluzione attesa da 17 anni». Si riporta anche il commento di un giudice, Luigi Domenico Cerqua, presidente alla Corte d’appello di Milano: «Quei pm politicizzati a caccia dei riflettori e non della giustizia». Cerqua «denuncia i giudici che non applicano le leggi ma attaccano chi le fa. E avverte: “Le lotte di potere tra correnti affossano la nostra reputazione”».
Per il MANIFESTO la giustizia è la “dea bendata”, ovvero in attesa del plotone di esecuzione comandato ovviamente da Berlusconi che le offre l’ultima sigaretta. Così l’apertura-vignetta del quotidiano, che così sintetizza quella che viene definita la “controriforma della giustizia”: «È il cuore dell’ideologia dell’eletto del popolo che sottomette la magistratura. […] Non importa se e quando sarà approvata, diventerà il leit motiv della futura campagna elettorale». Il tono generale dei commenti (sia l’editoriale di Andrea Fabozzi, sia l’approfondimento di Giuseppe Di Lello) è quello dello scetticismo, per una “riforma” annunciata con enfasi ma che difficilmente andrà mai in porto («La giustizia sarà oggetto della prossima campagna elettorale. Nemmeno il governo crede troppo nella possibilità di varare la riforma prima che la sua fragile maggioranza si dissolva»). Più che alle reazioni alla presentazione di ieri (solo un cenno al “no” dell’Anm: «È una riforma contro i giudici»; Bersani interlocutorio: «Non risolve i problemi»; Casini che attende che il provvedimento arrivi in Parlamento), nella doppia pagina dedicata al tema il Manifesto fa un collage delle pendenze meno note che attendono il Cavaliere in tribunale: oltre al caso Ruby (con lo scoop del Fatto quotidiano di ieri, sul tentativo di corruzione della funzionaria dell’anagrafe marocchina che ha registrato la nascita della ragazza), il procedimento Mediatrade, l’avvio del processo all’azzurro Nicola Cosentino per collusioni con la camorra (Berlusconi non c’entra, ma è pur sempre roba del Pdl), e l’eterno braccio di ferro sul calendario delle udienze per il processo Mills.
AVVENIRE apre con il titolo “Giustizia, sfida seria” e nell’occhiello sintetizza «Berlusconi e Alfano ribadiscono che la riforma non riguarderà i processi già in corso. L’Anm: legge punitiva. Pd e Idv: opposizione dura. Nuovo Polo pronto a discutere». L’editoriale (“Carte in tavola e niente slogan”), a firma Danilo Paolini, ricorda “i problemi che ci sono e l’iter da auspicare”. Paolini si chiede se sarà una riforma “epocale” come l’ha definita Berlusconi, “punitiva” come sostiene l’Associazione nazionale magistrati che annuncia l’ennesimo sciopero o una “perdita di tempo” come obietta Bersani e conclude: «Forse sarebbe meglio che tutti rinunciassero per una volta a precipitosi giudizi di parte: il confronto, in Parlamento, dovrebbe essere la regola e non una condizione… Si perlustri, dunque, la strada, indicata dal capo dello Stato, della maggior condivisione possibile. Si scoprano fino in fondo tutte le carte, incluse le undici leggi ordinarie di attuazione. Si metta a punto e si migliori quel che si deve e si può. L’importante è che tutto avvenga nella massima chiarezza: gli italiani hanno diritto a giudicare una riforma così importante sui fatti, non su slogan e sterili polemiche». AVVENIRE pubblica anche un’intervista a Francesco Paolo Casavola, ex presidente della Corte Costituzionale che spiega perché “la separazione della carriere tra pm e giudici si può fare”. Per il deputato Udc Roberto Rao “Contrapponendo la riforma a Mani Pulite il premier ha fatto il peggior spot. Serve maggiore chiarezza sul ‘dopo’”.
ITALIA OGGI titola a tutta pagina in prima “Giustizia, punto e a capo” e punta il dito sul fatto che la nota riforma sulla giustizia appena varata avrebbe sostanzialmente lo stesso impianto della proposta di riforma di Marco Boato per la commissione bicamerale presieduta da Massimo D’Alema. La cronaca degli avvenimenti e le prime reazioni sono raccolte da Franco Adriano a pagina 3, mentre alla pagina successiva l’avvocato penalista Emilia Rossi cerca di spiegare come e perché la riforma Alfano assomiglierebbe a quella Boato: «In quella occasione si verificò, sotto le insegne del gotha della sinistra italiana, l’incredibile convergenza di quasi tutte le forze politiche intorno a una serie di princìpi che non sono affatto diversi da quelli che ispirano la riforma Alfano. Distinzione delle funzioni dei magistrati, articolazione del Csm in due sezioni, una per i giudici e l’altra per i pubblici ministeri, istituzione di una Corte per i procedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati, obbligatorietà dell’azione penale: questi i punti essenziali del progetto Boato, enucleati nel Titolo VII del testo licenziato dalla Commissione Bicamerale il 4 novembre 1997. Separazione delle carriere dei magistrati, divisione del Csm in due distinti organi di governo, uno per i giudici e l’altro per i pubblici ministeri, istituzione di una Corte per i procedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati, riserva di legge per la determinazione dell’esercizio dell’azione penale: queste le linee di modifica del sistema del progetto Alfano».
FINE VITA
AVVENIRE – A pagina 3 pubblica un’intervista al cardinale Elio Sgreccia, presidente emerito della Pontificia Accademia per la Vita che parla di “legge necessaria sul fine vita”: «Se non si fissa una norma, episodi simili a quello di Eluana Englaro si possono moltiplicare tutte le volte che vi saranno persone intenzionate a percorrere quella tragica via». La prova del voto a Montecitorio per il ddl, dopo la conclusione della discussione generale in aula, è prevista per aprile.
TIBET
AVVENIRE – il quotidiano della Cei dedica la pagina 21 all’annuncio del Dalai Lama di rinunciare alla politica. Ma Pechino sostiene che si tratta di un trucco. L’anziano capo, 75 anni, ha anche chiesto al Parlamento in esilio di cambiare la Costituzione per “eleggere democraticamente” il suo successore. Durissima la reazione del regime: «Si tratta soltanto di un deportato mascherato da religioso, artefice di attività volte a spaccare l’unità del Paese».
LIBIA
LA REPUBBLICA – Contro Gheddafi pronti ad bombardare anche da soli: è la posizione espressa dal presidente Sarkozy che vorrebbe assumere la guida del fronte europeo. Bombardamenti mirati, va da sé, ma la proposta ha suscitato molta irritazione (da parte europea come dell’Unione africana). Il mantra di tutti è: «La Ue riconosce gli Stati non i governi». Nel frattempo la Clinton rilancia l’idea della no fly zone (su cui la Germania ha espresso forti perplessità).
LA STAMPA – Il quotidiano di Torino pubblica un reportage di Alberto Stabile da Ras Lanuf, in Libia. «Il giorno della caduta dell’avamaposto più a Ovest le forze di Gheddafi aprono una berccia anche sul fronte orientale». Dicono gli insorti. «“Non possiamo contrastare gli aerei senza altri aerei”, spiegano i ribelli»
PAPA
LA REPUBBLICA – “Gesù non era un rivoluzionario però separò religione e politica” è il titolo di un pezzo di Orazio La Rocca sull’ultimo libro di Benedetto XVI, in cui il Pontefice mette al bando ogni forma di violenza e al centro l’attenzione per i poveri. Il volume dedicato a Gesù ne analizza gli ultimi giorni della vita terrena dal punto di vista storico, teologico ed esegetico.
EQUO SOLIDALE
ITALIA OGGI – “Adesso anche il nord si dà all’equo solidale”. Da non confondersi, però, il nord di cui si parla nel pezzo non è il settentrione d’Italia. Massimo Galli a pagina 14. In Francia si sta sviluppando anche una filiera battezzata Nord-Nord: prodotti alimentari provenienti dal paese stesso, ma soltanto da aziende che rispettano l’ambiente propugnando un’agricoltura più sana. A ospitare cereali, latte e prosciutto dell’equo solidale Nord-Nord è, tra gli altri, il supermercato Biocoop di Parigi. Qui vengono selezionati prodotti francesi accanto al caffè del Costa Rica piuttosto che alle alghe secche del Giappone. Per ora non si pone il problema della concorrenza con i prodotti che arrivano dal sud del pianeta. Edouard Rousseau, presidente di Corab, cooperativa di 120 aziende biologiche che rappresenta il 5% del comparto in Francia, assicura che le tradizioni culinarie e i prodotti sono complementari e molto diversi tra loro.
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