Famiglia
Grandi Adozioni
Pochi bambini piccoli. Così cambia il volto dell'adozione in Italia
di Redazione
Il 43% dei “nuovi figli” ha tra i 5 e i 9 anni. Il gruppo
degli over 10 supera ormai l’11%. I più piccoli sono
calati del 40% dal 2000. Nel 2008 in Italia sono entrati
3.977 minori: la loro età media è di 5,6 anni.
Ma come si affronta una realtà che sta cambiando in questo modo? La parola ad esperti e operatori Italia, anno 2000. La famiglia Rossi ha un figlio in più, arrivato attraverso l’adozione internazionale: nel 53% dei casi, in casa Rossi è entrato un bambino molto piccolo, che ha al massimo 4 anni. Italia, anno 2008. Anche i coniugi Bianchi adottano un bambino: per il 43% delle coppie il nuovo figlio è già grandicello, tra i 5 e i 9 anni. Uscendo dall’intimità delle case italiane, i visi degli oltre 21mila minori adottati in Italia, messi in fila, fanno le statistiche della Commissione adozioni internazionali: in otto anni gli ingressi di bambini fra 1 e 4 anni sono calati del 40%, mentre quelli compresi fra i 5 e i 9 anni segnano un +50%. In pratica, un ribaltamento della fisionomia dei minori adottati, che sono di anno in anno sempre più grandi.
Nel 2008 in Italia sono entrati 3.977 minori: la loro età media è di 5,6 anni. Si va dai quattro mesi e mezzo dei piccoli arrivati dal Senegal (sono però solo sei adozioni) fino ai 13 anni e passa dei quattro ragazzi bielorussi (ma si tratta di adozioni nominative). Crescono pure i ragazzi adottati alle soglie dell’adolescenza: il gruppo degli over 10 rappresenta ormai l’11% degli ingressi.
La realtà dei fatti è che sempre più Paesi stanno ratificando la Convenzione dell’Aja, che definisce l’adozione internazionale come sussidiaria. «Questo vuol dire che per i minori abbandonati, prima di pensare all’adozione internazionale, si verificano obbligatoriamente altre soluzioni: il sostegno alla famiglia d’origine, l’affido, l’adozione nazionale», spiega Gianfranco Arnoletti, presidente del Cifa. Ed è brutto a dirsi, ma chi sceglie per primo, sceglie i bambini piccoli. Per le adozioni internazionali, così, restano i grandi, quelli con qualche malattia, i gruppi di fratelli.
La seconda ragione, invece, è tutta italiana: le coppie disponibili all’adozione sono sempre più “agé”, ormai prossime ai 50 anni, e siccome la legge impone una certa differenza d’età tra i genitori e il figlio adottato, gli abbinamenti con i neonati – se anche ce ne fossero – sono esclusi a priori.
Nessuno degli enti, però si accontenta di leggere la realtà solo in termini di “disponibilità”: «Non è un problema di mercato», precisa Graziella Teti del Ciai. «In tutto il mondo ci sono bambini piccoli e bambini grandi che cercano una famiglia, dipende da noi apririci o meno a un bisogno».
Se la realtà è questa, le coppie in attesa non possono che farci i conti. Tutti gli enti sono ormai molto chiari: il sogno di un bambino piccolo difficilmente potrà diventare realtà. Molti nemmeno accettano l’incarico di chi non dà una disponibilità almeno per bambini fino a 6 anni. Alcune coppie iniziano così un viaggio che li porta a far maturare il proprio progetto adottivo, sempre più spesso con percorsi ad hoc, altre invece rinunciano. Qualcuna migra verso gli enti che statisticamente sembrano garantire bambini più piccoli, perché attivi in Paesi dell’Asia e dell’Africa: oggi infatti il 93% dei piccolissimi arriva da lì.
Che poi queste adozioni siano più difficili di altre, non è detto. Certo hanno le loro specificità, che vanno messe in conto e a cui bisogna essere preparati. «Aver passato tanto tempo in istituto o in una famiglia dove si è stati maltrattati lascia certo segni importanti», dice la Teti. «Entrare in famiglia a ridosso dell’adolescenza accorcia la possibilità di sperimentare quell’attaccamento che prelude al distacco: questi ragazzi vivono contemporaneamente la gioia di aver finalmente trovato dei genitori e la spinta alla separazione da essi», continua Arnoletti.
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