Famiglia

Guardare le adozioni con la lente della cooperazione

Viste con la sola lente del numero dei bambini adottati, le adozioni internazionali presentano sempre più criticità. Ma il sistema adozioni va guardato nel suo complesso e di questo sistema c'è un pezzo che non viene quasi mai raccontato: l'azione degli enti nei paesi di provenienza, dedicata non a "trovare bambini" ma a progetti di cooperazione. Se aggiungessimo questo tassello, lo storytelling sarebbe meno cupo

di Marco Rossin

Bambini in Senegal

L’estate 2025 si va chiudendo con tre articoli sull’adozione internazionale che sottolineano almeno altrettanti aspetti critici di questa realtà, seguendo la prassi per cui, se di adozione si deve parlare, che se ne parli in maniera negativa e ponendo l’accento sulle difficoltà. “Le adozioni sono pochissime e hanno molti problemi”, questo il filo conduttore del primo articolo, uscito su Il Post; i bambini ucraini sono disponibili su un “catalogo” on line russo, denuncia il secondo, uscito sul Corriere del Ticino e, infine, un’inchiesta de L’Espresso riferisce di un presunto business di bambini che dall’Armenia venivano adottati all’estero in maniera dubbia/illecita. Tematiche diverse tra loro, ma che hanno come denominatore comune l’evidenziare quanto di negativo si può trovare nel mondo delle adozioni. Il quadro che emerge è sconfortante, tanto da chiedersi se ancora ha senso occuparsi di adozioni internazionali: in questa narrazione i rischi sembrano palesemente maggiori dei benefici. 

Eppure, puntando una lente d’ingrandimento sulla realtà adottiva, ampliando l’immagine ai vari soggetti coinvolti nel cosiddetto “sistema adozioni” (enti autorizzati, famiglie, minori, autorità), appare più chiaro che se una risposta definitiva a questa domanda probabilmente non esiste, esiste però un punto di vista differente. È vero che, come dice il secondo articolo, le adozioni internazionali negli anni sono diventate più complesse: i bambini adottabili presentano caratteristiche tali per cui la preparazione dei futuri genitori dev’essere un passaggio imprescindibile e approfondito dell’iter, cosa che a sua volta richiede un impegno e un alto investimento da parte degli enti, che devono poter garantire un maggior livello di professionalità, trasparenza, competenza e presenza nei Paesi di origine dei bambini. 

Il dover far fronte a questi nuovi scenari di maggiore complessità ci fa assistere anche ad un fenomeno virtuoso che rende protagonisti gli enti autorizzati: alcuni di questi infatti si strutturano e investono per rispondere in maniera più efficace ed adeguata ai reali bisogni dei bambini nel mondo, e lo fanno, oltre che con un’opera di costante formazione e ricerca, anche con una maggior presenza nei Paesi di origine di questi bambini, garantendo un intervento non vincolato alla mera ricerca di bambini da adottare. Il risultato è, perciò, che molti dei bambini che oggi trovano una famiglia grazie all’adozione internazionale, vent’anni fa non l’avrebbero trovata.

Rispetto al presunto traffico di minori descritto dall’inchiesta, diciamo subito che non esistono giustificazioni. Ma in parallelo si delinea almeno la possibilità di porre l’accento su tutti quegli interventi a supporto dei sistemi di accoglienza locali, che sono parte integrante di un sistema valido di adozione internazionale. L’inchiesta evidenzia che, verosimilmente, tali attività sussidiarie siano state mal realizzate (o non realizzate) in Armenia. Esistono però anche svariati esempi positivi di come le stesse attività, altrove, generino un impatto positivo: pochi giorni fa (per l’esattezza il 27 agosto) ad esempio, si è chiuso in Colombia “Una Mano per la Vita 2”, un progetto finanziato dalla Commissione Adozioni Internazionali, il cui focus era proprio il sostegno ad un sistema di protezione già esistente. Il progetto ha coinvolto enti autorizzati e partner (La Maloca, Avsi, Srai, Fondazione Monserrate, Nova, Ami, Ciai, Sjamo, Istituto La Casa, Afn) che fra le attività quella di maggior impatto e rilevanza ha messo in campo un supporto psicologico per 120 minori colombiani con disturbi comportamentali, in sostituzione a una terapia farmacologica. Senza l’esistenza il cosiddetto “sistema adozioni” questi minori avrebbero semplicemente continuato ad essere trattati con psicofarmaci per buona parte della loro vita, con tutto ciò che ne sarebbe conseguito per la loro salute: grazie a questo progetto, questi bambini hanno finalmente un’alternativa, una possibilità diversa di crescita e sviluppo, nonché di inserimento nella società.

Questo è solo l’esempio di un intervento, la cui realizzazione è stata possibile grazie al sistema di adozioni internazionali, che ci mostra come la realtà delle adozioni ha più sfaccettature, non necessariamente solo negative. Lo sguardo su questo tema dovrebbe perciò essere meno netto e prendere in considerazione una visuale più ampia, che non punti la luce solamente su scandali, condotte riprovevoli e problematiche.

Si può provare a guardare con nuove lenti, che possano mostrare anche gli strumenti di prevenzione messi in campo, quelli che prevengono fenomeni riprovevoli o che frenano l’alimentarsi di mercati di bambini, quelle attività che permettono a bambini realmente in stato di abbandono di trovare una famiglia, che sia nel loro Paese o all’estero, magari perché le adozioni che sono diventate più problematiche e, perché no, anche quella coppia che nonostante quattro anni di attesa si commuove quando le viene detto che diventerà la famiglia di Alexandra.

Foto di Alex Furgiuele su Unsplash

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