Mondo
Harlem, Emigrati a tinte fosche
Recensione del film "In America" di Jim Sheridan.
di Redazione
Dopo la perdita di un figlio, una famiglia irlandese emigra negli Stati Uniti, installandosi in un quartiere degradato di New York (Ad est di Harlem, questo il titolo iniziale del film). L?appartamento si trova in uno stabile fatiscente abitato da tossicomani, la madre insegnante si adatta a fare la cameriera, il padre attore non riesce a trovare lavoro non essendo più capace di recitare. La rinascita e la rivincita sembrano impossibili; nel tentativo di regalare un pupazzo alla figlia, l?uomo perde tutti i soldi dell?affitto al Luna Park. Segretamente la donna accusa il marito della morte del bambino, ma in realtà è stato un incidente.
Da Kafka a Lars Von Trier, l?America è il teatro privilegiato del Tempo, il luogo del racconto e della storia, la prova spietata della vita; gli Stati Uniti sono il Paese di tutti dove le cose accadono e dove, dopo essere apparsi alla luce tagliente del giorno, si dissolvono i fantasmi del passato.
Jim Sheridan, regista irlandese autore di noti film di impegno civile, (Il mio piede sinistro, sulla vita di un pittore paraplegico; Nel nome del padre, l?odissea carceraria di una famiglia ingiustamente accusata di terrorismo) ha scritto questa storia dichiaratamente autobiografica insieme alle due figlie: un film sull?odierna emigrazione europea verso gli Usa, che faticosamente ha trovato il suo pubblico internazionale dopo essere approdato al Sundance festival, la maggiore manifestazione americana dedicata al cinema indipendente.
La materia è sofferta e ricca, ma la drammaturgia procede per schemi e astrazioni, l?enfasi retorica, non lontana da quella di una soap opera, e il sentimentalismo soffocano e annientano buona parte del film, che arriva raramente a costituirsi come racconto autonomo per immagini. La vicenda è l?esposizione di un teorema: solo in alcune descrizioni realistiche iniziali (il difficile passaggio della frontiera, i problemi economici della famiglia, l?impatto con la scuola delle bambine) il film si libera della premeditazione e diventa qualcosa di oggettivo e vivo.
Solo quando mette in scena l?innocenza delle due sorelle, il regista trova il carattere della rappresentazione lasciando quello faticoso e frettoloso della dimostrazione; e le scene migliori sono quelle in cui la musica sostituisce i discorsi. Brava Samantha Morton nel ruolo della madre, e brave le due giovanissime protagoniste, capaci di una recitazione sobria e dolorosa, lontana dal cliché hollywoodiano dei piccoli divi.
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