Famiglia
Hina? Vittima della sindrome Kamikaze
Islam/ Perché un caso come quello della ragazza bresciana è rimasto nel silenzio. Di Barbara Ghiringhelli
di Redazione
Scegliere di deludere le aspettative tradizionali, le regole comunitarie, di sposare un uomo che si è scelto da sola, di liberarsi di un marito o padre violento o più semplicemente di indossare abiti occidentali non è né facile, né indolore. Di queste situazioni parla un libro bellissimo, Matrimonio combinato di Chitra Banerjee Divakaruni, una scrittrice di origini bengalesi che vive a san Francisco. Ma oggi, dopo il tragico caso di Hina Saleem, i racconti di questo libro sono storie italiane. La storia di Hina è venuta alla luce della cronaca, ma sono tantissime ormai, nel nostro paese, le donne che vivono conflitti, incomprensioni profonde in ambito familiare il cui esito spesso è la violenza psicologica, fisica, sessuale, la segregazione, il rimpatrio forzato. Purtroppo Hina non è la sola ad essere arrivata a perdere la vita. Vita da alcune considerata già persa. Tanto da decidere che non occorre aspettare che qualcuno, che psicologicamente e socialmente gliel?ha già tolta, gliela tolga anche fisicamente. Ultimo e unico gesto per uscire da tanta sofferenza.
Parliamo di famiglia
Purtroppo però anche questa volta si sono registrate nel dibattito televisivo e sulla carta stampata più letture stereotipate che riflessione autentica. Hanno ancora vinto le semplificazioni e i riduzionismi, i facili commenti e i giudizi scontati, l?idealizzazione o la condanna di culture e religioni. Si può dire da entrambe le parti. Sì perché più che parlare di Hina e della sua famiglia si sta parlando, perlopiù impropriamente, di religioni, culture. Non si parla della difficoltà di questa giovane che in maniera determinata ha provato a fare delle scelte cadendo anche nelle trappole della vita da ?occidentale? e della famiglia che sa solo applicare i suoi modelli predefiniti di educazione e di relazione. Èimportante invece far sì che la storia di Hina sia scintilla capace di alimentare una vera attenzione e riflessione sulla situazione in cui si trovano oggi non poche ragazze che vivono, crescono, anzi già nascono in Italia. E che proprio nel nostro paese sono vittime di discriminazioni e ingiustizie: riflessione e attenzione che però deve fare un salto e passare dal piano del giudizio a quello dell?azione.
Incrocio di generazioni
Credo che si sappia già abbastanza (e non serviva certo la morte di Hina) per giustificare l?azione. Sappiamo che gli effetti dell?avventura migratoria possono essere presi in considerazione al punto di incrocio tra le generazioni. In particolare tra genitori e figli il confronto e la gestione delle molteplici appartenenze possono assumere il carattere di un processo conflittuale: conflitto di valori, di modelli di identificazione. Ma anche il conflitto tra colui che è o si sente straniero e la società: ecco gli atteggiamenti rivendicativi, di anomia. Sembra che però tutto questo sia ad oggi stato degno di attenzione più per i rischi in cui va incontro una società se in essa vi sono ?cellule? di giovani che non sentono o non vogliono farne parte, piuttosto che per una reale preoccupazione della salute, in termini di benessere fisico e psichico, di questi giovani. Emerge più l?interesse per il giovane potenziale kamikaze piuttosto che per la vita infelice di una giovane ragazza. Si registra in termini reali, e non solo di reazione a eventi, una differenza di attenzione nei confronti di comportamenti di anomia sociale che suscitano in me paura per il mio futuro e comportamenti che releghiamo al privato di qualcuno.
L?anello debole
Torniamo allora a ciò che sappiamo sulla dimensione generazionale della migrazione. Si sa che i rapporti con le figlie sono quelli più a rischio. È su di esse che si concentrano le maggiori tensioni e i contrasti legati alle aspettative sociali e culturali della famiglia e del paese di accoglienza: sembra che ci si aspetti dalle figlie e, in generale, dalle donne un?adesione ai valori tradizionali maggiore rispetto agli uomini. Anche perché, oltre a essere coloro che tramandono la tradizione, sono maggiormente sottoposte a regole culturali e religiose specifiche, e tra queste assumono una certa rilevanza quelle legate alle scelte affettive matrimoniali. Sappiamo anche che non è facile mettere in dialogo sistemi diversi e culturalmente ben radicati di saperi e di significati attorno alla cura ed educazione delle nuove generazioni. Nel caso dei genitori stranieri molto spesso a qualificare il legame generazionale è l?aspetto etico e normativo, di conseguenza non è facile intervenire in un lavoro di sostegno della genitorialità e di mediazione delle relazioni familiari… Non è facile anche perché spesso famiglia di origine e società di accoglienza (con motivazioni diverse) forniscono alle figlie piuttosto che valori (certamente più difficili da trasmettere!), una serie di aspettative raffigurate in modelli stereotipati, che la ragazza deve cercare di imitare. C?è poca attenzione nel verificare se c?è autenticamente un?acquisizione di valori, cioè di criteri di guida all?azione, e ci si interessa alla riproposizione acritica del comportamento conforme al modello. Ma quando al posto della comunicazione dei valori vengono tramandati modelli stereotipati, allora la rigidità della forma esteriore e l?assenza di significato interiore, la vaghezza del contenuto, non sono in grado di sostenere i giovani nel loro percorso di crescita e nelle loro scelte sia di adesione reale al mondo di origine, alla tradizione, sia di assimilazione al mondo di accoglienza. E, se si sbaglia, quanto è difficile tornare indietro!
Curare il benessere
Ecco allora l?importanza di dedicarsi al benessere di queste giovani generazioni attraverso lo studio e la proposta di politiche e servizi capaci, coinvolgendo genitori e figli, giovani, comunità di origine, comunità di accoglienza, rappresentanti delle religioni, in un dialogo di avvicinamento alla società in cui loro e i loro figli vivono, riscoprendo valori e abbattendo stereotipi e modelli predefiniti che qui non trovano un ?senso?. Come già ci ha spiegato nei suoi studi Bernhard Nauck, contrariamente a quanto si possa pensare, le differenze anche profonde nei contenuti dei valori non costituiscono i principali fattori di rischio per la buona riuscita del processo educativo e del benessere familiare. Piuttosto, ad avere un ruolo chiave nel dare maggiori o minori opportunità di benessere ai giovani, sono i modi con cui norme e valori familiari vengono proposti. A volte il modo conta assai più del contenuto.
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