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Ho vinto la mia battaglia dell’amore (senza fare guerre)

L'avventurosa storia sentimentale di Rania e Marco

di Redazione

Quando ho rivelato ai miei che mi ero innamorata di
un italiano non musulmano, è successo il finimondo.
Mi hanno portato via il passaporto. Ma poi con pazienza…di Rania Ibrahim
Era una mattina di fine luglio 1998. Ero nella mia casa de Il Cairo, sentii i miei genitori discutere in camera a porte chiuse, sul fatto che avevano sbagliato ad agire in quel modo frettoloso, guidato dallo shock e dalla vergogna, e pensai che avevo ancora una speranza. Forse mi avrebbero fatto ritornare in Italia da Marco, dai miei amici, dai miei affetti.
Era iniziato tutto a Milano circa due mesi prima. Quel giorno di fine maggio mi resi conto che la situazione sarebbe stata difficile da gestire quando vidi mia madre prendersi istericamente a schiaffi e correndo per casa cercava di strapparsi i vestiti di dosso. In quegli attimi, presa dal panico, continuavo a chiedere a me stessa: che cosa avevo fatto? Per caso avevo ucciso qualcuno? Avevo rubato? Mi avevano trovato con 10 chili di cocaina all’aeroporto? Insomma, non mi spiegavo il perché di quella strana reazione. Tutto sommato avevo solo detto a mia madre: «Mi sono innamorata di Marco, un italiano e per di più non musulmano»; e che ero andata anche un po’ oltre al solito bacio e alla solita carezza, e che lui voleva venire a casa a conoscerli, proprio per dimostrare i suoi buoni intenti. Forse avrei dovuto usare un po’ più di tatto? Non lo so! Fatto sta che la reazione a questo mio “colpo basso”, fu un biglietto aereo di sola andata prenotato all’istante per Il Cairo e una serie interminabile di urla e di litigi.

Passaporto addio
Da quel momento non ero più la figlia modello, intelligente, brava studentessa, ubbidiente, “mansueta e docile”, che spesso amici e parenti usavano per fare paragoni con le altre mie coetanee, un po’ meno “tranquille”. In pochi attimi ero la vergogna e il disonore della mia famiglia, mia mamma ripeteva sempre: «La gente ci mangerà la faccia, li hai fatti felici a tutti».
Sinceramente non capivo a chi si riferisse, ma probabilmente intendeva i conoscenti che vivevano a Milano o forse intendeva i miei parenti con i quali non scorreva proprio un rapporto idilliaco. Arrivati in Egitto, i miei nascosero il mio passaporto. Ora dovevo “solo” sforzarmi di dimenticare tutto: Marco, l’università, i miei amici, insomma in poche parole dovevo cancellare tutto quello che fino ad allora era stato semplicemente la mia vita. Trascorsero due interminabili mesi all’insegna di litigi, momenti di depressione, stress, frustrazione, un clima teso e impregnato da un senso di ingiustizia che provavo giorno dopo giorno.
Dovevo solo riflettere e vergognarmi per quello che avevo “combinato”, ripeteva mia mamma. Se penso che per il fattaccio fu anche tirato in ballo l’esorcista-santone di famiglia, oggi mi viene da sorridere? Mi diede l’acqua del Corano da bere, era convinto che qualcuno mi aveva mandato un “Jen” per farmi peccare, per invidia, non so da parte di chi e perché.
Dovetti bere infusi su infusi, e soprattutto pregare tanto? per un momento stavo quasi per credere a tutte queste stupidaggini. Mia madre mi fece fare un pellegrinaggio di preghiera in quasi tutte le moschee del Cairo: e forse questo è stato l’unico aspetto positivo in tutta questa storia assurda. Per comunicare con il mio fidanzato, dovevo spedire le lettere in segreto, mandando la donna delle pulizie di nascosto in posta, ripagando il suo silenzio con qualche “ghinee”, un paio di scarpe o un mio vecchio paio di pantaloni.

Eppure i miei genitori…
Eppure i miei genitori erano stati, fino ad allora, abbastanza aperti, mi avevano cresciuto come una qualunque ragazza italiana, ero andata con la scuola qua e la per l’Europa, dormivo con i miei compagni maschi, insomma ero una ragazza come tutte le mie amiche italiane. Nessuna differenza. L’unica forse era che non avevo il passaporto bordeaux, ma verde, con l’aquila in bella vista e il permesso di soggiorno rinnovabile ogni quattro anni, ma all’epoca non c’erano i sentimenti di intolleranza di oggi verso gli stranieri.
Non credevo che innamorarsi di un Marco e non di un Mohamed o un Mustafà creasse un’inversione di rotta a 360 gradi, anche perché i miei genitori con me erano stati aperti anche in discussioni riguardanti tematiche che persino per parecchi italiani sono tabù: il sesso, l’omosessualità, l’impotenza sessuale, le droghe? un po’ tutto. Mi avevano cresciuto sin dall’infanzia senza farmi sentire diversa, giocavo in cortile a calcio con i maschi che ho sempre preferito alle femminucce, andavamo in vacanza sulla riviera romagnola negli stessi stabilimenti balneari degli italiani, mia mamma indossava il costume come le altre mamme, in casa si ascoltavano Mina, Tenco, Gianni Nazzaro, Baglioni, ma anche Oum Kalthum, Abdel Halim Hafez.
L’arabo l’ho imparato verso i 13 anni, quando mio padre portò a casa la parabola satellitare, che i miei vicini preoccupati credevano fosse un apparecchio spia? Guardavo i Mousalsal, soap opera e i film egiziani? ho iniziato in questo modo a conoscere l’altra parte di me che mi apparteneva di diritto, quella egiziana. Mi innamorai dei film di Omar Sharif, Faten Hamama, Amr Diab, insomma conobbi per la prima volta l’Egitto grazie alla tv.
La svolta alla mia esperienza da romanzo credo sia avvenuta quando decisi di parlare in modo diretto e aperto con i miei genitori: io non avrei cambiato idea, coinvolsi parenti, amici di famiglia, persino i vicini di casa, credevo che solo coinvolgendo gli estranei e tranquillizzando i miei genitori avrei risolto la questione? avevano bisogno di sentire che la società non li avrebbe giudicati così negativamente come loro credevano, non dovevano provare quel senso di vergogna che purtroppo alcuni genitori nelle stesse situazioni affrontano, e a volte in modo drammatico, come nel caso di Hina o Sanaa.
Bisogna cercare di mediare, mettersi anche nei loro panni e non essere egoisti; confronto e dialogo sono le parole chiave, per lo meno nel mio caso sono state le armi utilizzate per risolvere la situazione. È inutile, anzi controproducente tirare ancora di più la corda, cercando di scappare di casa o comportandosi da “eroina innamorata”. Dissi loro: «Dovevate metterlo in previsione: era molto più probabile che mi potessi innamorare di un italiano visto che vivo in Italia, che di un arabo». Non potevano pretendere che mi comportassi da araba egiziana quando l’Egitto lo avevo conosciuto solo nei villaggi turistici una volta all’anno. Usai tutta la diplomazia possibile? alla fine mi ricordo di mio papà, esausto dalle nostre infinite discussioni, che si presentò con il passaporto in mano e dentro il biglietto aereo per Milano: il volo era previsto per il giorno dopo. Oggi sono sposata con Marco, ho tre bellissimi bambini, sono una cittadina italiana, purtroppo non per “merito”, unico rammarico? è che non mi è stata concessa per i miei 31 anni trascorsi da cittadina modello nel Bel Paese, ma solo perché ho sposato un italiano.

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